Macron & C. La coalizione degli struzzi

Di: Gerardo Valentini

A norma di legge (elettorale).

A prescindere da tutto il resto. 

In Francia se la sono cavata così, per sbarrare il passo al Rassemblement National di Marine Le Pen e impedire che la sua netta supremazia nelle urne, dove su scala nazionale ha raccolto più voti di chiunque altro, lo proiettasse al governo.

I dati sono lì. Ufficiali e oggettivi. Più di dieci milioni di suffragi, poco oltre il 37 per cento. Mentre il primo degli inseguitori, il Nouveau Front Populaire, si è fermato a circa sette milioni, appena sopra il 25. 

Altro interessante dettaglio: RN è un partito vero, con una storia consolidata e una prospettiva di lungo termine; NFP, al contrario, non è nulla di più che un’aggregazione momentanea e fittizia, creata ad arte per alterare l’esito dei ballottaggi. Pezzi sparsi, e contraddittori, e litigiosi, messi insieme in fretta e furia, a simulare un’intesa effettiva e un progetto comune.

L’escamotage, del resto, è solo l’ultimo di una lunga serie. Che si impernia su una normativa che risale al 1958 e che, ma va?, è stata concepita appositamente per limitare al minimo le opportunità di successo per le formazioni estranee al blocco di potere preesistente. 

Si scrive democrazia, si legge oligarchia. Mica da oggi o da ieri. Da moltissimi anni. Per non dire da sempre. 

A forza di tirare la corda…

Con un sistema proporzionale non ci sarebbe stato nessun dubbio. Vittoria assai ampia e commenti di conseguenza: non è affatto un fuoco di paglia e gran parte dei cittadini francesi ne condivide la linea politica. Piaccia o non piaccia – e ovviamente ai tecnocrati alla Macron non piace neanche un po’ – il modello dominante è in piena crisi di legittimazione.

Non solo per l’arroganza con cui le decisioni di governo vengono calate dall’alto, dando per scontato che la popolazione dovrà inchinarsi di fronte a cotanta competenza, ma proprio perché un numero crescente di persone non si riconosce nel tipo di società che gli si vuole imporre.

Per troppo tempo hanno sentito magnificare le trasformazioni in atto, come se fossero la quintessenza del progresso economico e persino morale. Evviva la globalizzazione dei mercati, che ci renderà tutti più competitivi e cosmopoliti. Evviva l’immigrazione di massa, perché bisogna essere solidali e inclusivi. Evviva l’espansione a dismisura del politicamente corretto e dei cosiddetti “diritti civili”. Sia pure, ahimè, a scapito di quelli sociali, a cominciare dalla precarizzazione del lavoro.

Il depliant liberal-progressista trasformato in una bibbia dogmatica e indiscutibile.

Il cumulo delle bugie che alla lunga è diventato troppo grosso, per evitare che più di qualcuno aprisse gli occhi.

Beh? Perché vi lamentate?

Lampante. A patto di volerlo vedere. E di essere disposti a riconoscerlo. 

La versione ufficiale proclama delle cose, altisonanti e autocelebrative. La realtà concreta, quella che si vive di giorno in giorno e dai e dai ti cambia la vita, cambiandola in peggio, ne dimostra delle altre. Per nulla piacevoli. E ancor meno rassicuranti.

Chi si sta sbagliando, allora? Sono i cittadini che non capiscono o viceversa sono i governanti che li ingannano?

Federico Rampini, che certamente non si può accusare di ostilità preconcetta verso l’establishment di centrosinistra, ne ha scritto una decina di giorni fa sul Corriere della Sera.

“Una delle frasi in codice che fanno riconoscere un opinionista progressista, è che «dobbiamo stare dalla parte dei più deboli». Sottinteso: purché i deboli siano stranieri, possibilmente senza documenti, meglio ancora se hanno la pelle di un colore diverso. Almeno una parte della sinistra, ha deciso che sono sempre e soltanto queste le vittime dell’ingiustizia, per definizione. Tanto peggio per i pensionati poveri, con cittadinanza nazionale, se la sera hanno paura a rincasare perché sotto casa loro comandano gli spacciatori. Gli si risponde con citazioni statistiche, per dimostrargli che non c’è un legame tra stranieri e criminalità.”

È su questo, che dovrebbero concentrarsi le analisi del voto francese. E non soltanto francese. La questione vera, la questione cruciale, è la divaricazione enorme e drammatica tra ciò che le classi dirigenti spacciano per giusto, necessario, persino desiderabile, e le ripercussioni concrete sulla generalità dei cittadini. 

L’ascesa di partiti come il Rassemblement National, che vengono puntualmente demonizzati come organizzazioni populiste e di “estrema destra”, riflette questa collisione tra la propaganda di sistema e i suoi esiti reali. Così come, con altre modalità e in maniera più confusa, lo stesso disincanto e lo stesso rifiuto sono espressi dalla massa enorme degli astenuti. Quelli che ai seggi non ci vanno nemmeno, schifati dalle troppe delusioni patite in passato e convinti che non ci sia nessuno, proprio nessuno che le possa riscattare.

Sono crepe profonde e per nulla superficiali. Che di sicuro non verranno sanate con lo “stucco” delle alchimie elettorali e delle manovre di palazzo, come quelle che abbiamo appena visto da parte di Macron e di chi gli ha retto il gioco. 

L’edificio dell’Occidente vacilla e c’è bisogno di nuove architetture. Di nuovi e ben più credibili architetti. 

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