Di Gerardo Valentini
Piccoli passi. Piccoli spostamenti di significato. Piccole forzature. Che poi, in parecchi casi, tanto piccoli non sono. E che mirano, nel loro insieme, ad accreditare quelle opinioni come verità inattaccabili, sino a farle penetrare così a fondo, nell’immaginario collettivo, da trasformarle in dati di fatto inoppugnabili.
Gli esempi potrebbero essere innumerevoli. Ma per cominciare facciamone uno solo: l’incipit di un articolo apparso sabato scorso sul quotidiano La Stampa. Il tema (o il pretesto) è il film “Finalmente l’alba”, appena presentato alla Mostra del cinema di Venezia.
Scrive Annalisa Cuzzocrea: “Ha ragione Saverio Costanzo. Le donne in Italia sono in pericolo. E non lo sono oggi, non lo sono per colpa del porno sui telefonini e della mala educación dei ragazzi. Lo sono perché l’Italia è da sempre un Paese patriarcale che le vede, le considera, le tratta, come fossero solo carne”.
Perentorio. Ma falso.
Affermare che in Italia le donne siano viste, considerate, trattate “come fossero solo carne” è un’esagerazione spropositata. Quell’avverbio, “solo”, è talmente tassativo, talmente onnicomprensivo, da togliere qualsiasi credibilità al ragionamento.
La questione è complessa. E andrebbe affrontata come tale. Invece si preferisce scodellare una generalizzazione dogmatica. Non si sta sollevando un problema. Si sta demonizzando, in blocco, la storia di un intero Paese, attribuendone gli squilibri e i guasti, nel rapporto tra i sessi, unicamente agli uomini. Ai maschi. O piuttosto, come vedremo tra poco, al “maschile”.
Anzi, alla “virilità”. Che è cosa ben diversa dall’essere venuti al mondo con un pene in mezzo alle gambe.
Crescere. Ovvero rafforzarsi
Seconda citazione. Che è un po’ più lunga di quella precedente ma che vale la pena di leggere. Sottolineando che è tratta dal sito della rivista Elle, edizione italiana di un magazine, modaiolo, del gruppo statunitense Hearst. Tra un abitino e l’altro, tra una borsetta e l’altra, si pretende di fare cultura e di spiegare, nel caso specifico, “Cos’è la società patriarcale e come si manifesta oggi”.
Premessa: “La società patriarcale fa male a tutti. La società patriarcale mette le donne in una posizione di svantaggio, ma non sono solo loro a esserne vittime. Il patriarcato infatti è dannoso anche per gli uomini, perché condiziona i ruoli di genere e i comportamenti che gli uomini devono avere per dimostrarsi tali”.
Affondo (si fa per dire): “Quante volte un bambino si è sentito dire frasi come “non piangere”, “non fare la femminuccia”, “fai l’uomo”, “non indossare colori da femmina”? E quante volte gli uomini non si sono sentiti liberi di esternare le proprie emozioni oppure non hanno denunciato una violenza subita da una donna per paura di non essere presi sul serio?”.
Poveri piccini. Che si vedono sollecitati a reagire ai momenti di difficoltà. Fisica o interiore. Cominciando così a temprarsi – che a sua volta è cosa ben diversa dal reprimersi – e a costruire quel “dominio di sé” che è l’architrave di un individuo compiuto. Possibilmente già da giovane o da molto giovane. Ma se non altro da adulto.
E attenzione: non vale soltanto per i maschi, anzi per gli uomini, ma anche per le femmine, anzi per le donne. Perché rafforzarsi, sul piano psichico e conseguentemente etico, è la chiave di volta di una vita consapevole e proficua. Sia come singole persone, sia come membri della comunità sociale nel suo insieme.
A chi fa comodo, una società infantile?
L’attacco viscerale al patriarcato va in direzione opposta. E rientra nella medesima strategia e nella medesima mistificazione: far leva sulla difesa delle vittime, di questo o quell’abuso, per disconoscere i concetti stessi di forza e di valore. Concetti, e principi, che certamente possono degenerare in sopraffazione, al pari di ogni altro potere individuale o di gruppo, ma che di per sé stessi rimangono essenziali.
La società odierna, imperniata sul consumo compulsivo di merci e servizi e sul superfluo come compensazione “cash and carry” alle frustrazioni dell’esistenza, ha bisogno di cittadini emotivamente instabili e pronti a lasciarsi sedurre da ogni tipo di tentazione. O di illusione: come quella di essere buoni e sensibili, sia pure all’interno di una competizione economica sempre più dura e spietata, perché non si vieta nulla a nessuno. Beh, se uno si sente di vivere così, perché mai non dovrebbe farlo?
Il vero antidoto, per fenomeni ignobili e da punire nel modo più drastico come quello degli stupri, non è la femminilizzazione del maschio. O l’infantilizzazione, capricciosa e fintamente liberatrice, tanto del maschio quanto della femmina.
Solo un alto senso di sé – e conseguentemente anche dell’altro, uomo o donna che sia – porta a escludere a priori la prevaricazione, sessuale o di qualunque altro tipo. Perché in essa si riconosce una meschina e vergognosa diminuzione del proprio valore, anziché la sua poderosa e inebriante conferma.
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