Di Gerardo Valentini
Due passi avanti e mezzo indietro. Due passi avanti suonando la carica e gridando allo scandalo, per i finanziamenti illeciti che la Russia avrebbe sparso per il mondo e che potrebbero aver coinvolto anche la Lega. E mezzo passo indietro, in mancanza di alcuna prova e a fronte delle precisazioni delle stesse autorità statunitensi che hanno predisposto il dossier, per salvare le apparenze: ci atteniamo a quello che risulta, tuttavia…
Appunto. Invece di scusarsi per l’infondatezza degli addebiti, che non nascono certo ora ma che guarda caso sono stati rilanciati a meno di due settimane dal voto del 25 settembre, ci si è rifugiati nella formula, comodissima e viscida, del “per il momento”. Ovvero: le accuse non sono affatto ritirate, ma rimangono in sospeso. Oggi non siamo in grado di confermarle in modo inoppugnabile ma può sempre darsi che ci riusciremo in seguito. E comunque, al pari di chiunque altro non abbia manifestato il più drastico rifiuto nei confronti di Putin, Salvini è ritenuto sospetto per definizione: soldi o non soldi, quel mancato allineamento non può non avere delle motivazioni oscure.
È un teorema sballato. Che parte dalla fine, presunta, e che da lì risale all’indietro. Invece di dimostrare la tesi, la innalza a premessa indiscutibile. Ad assioma. A dogma.
La logica, si fa per dire, è che concordare con le verità ufficiali dell’Occidente sia ormai un atto dovuto. Come se fosse esclusa a priori l’esistenza di qualche buona ragione – qualche ragione lecita – per prendere le distanze dalle versioni a senso unico del mainstream.
Ergo, i soli motivi che possono indurre qualcuno a farlo devono essere giocoforza degli interessi opachi. Subdoli. Inconfessabili. Rispetto ai quali il passaggio di denaro è solo una delle tante forme di corruzione con cui ricompensarli.
Un’ubbidienza da tempo di guerra
Come sempre, la singola vicenda conta soltanto in parte. Ciò che ne moltiplica il rilievo è il suo inserirsi, oppure no, in una tendenza più ampia. O addirittura strategica.
Parliamo di finalità, allora.
Dal 2008 in poi il modello occidentale è scivolato, per non dire sprofondato, in una crisi dalla quale non è mai uscito del tutto. Le difficoltà economiche, e non solo, si sono via via ritorte sulle classi dirigenti. O quantomeno sulla loro immagine pubblica. Poiché esse avevano costruito la propria legittimazione sulla crescita dei redditi e dei consumi, il venir meno di quelle aspettative ne ha messo in discussione la credibilità.
Ci sarebbe voluto un onesto e profondo ripensamento. E magari uno schietto mea culpa. Non ce n’è stata neanche l’ombra.
La reazione dell’establishment è stata appellarsi alla competizione globale e scaricare la responsabilità degli insuccessi, individuali e collettivi, su chi non riusciva a stare al passo. Che si trattasse di singole persone, oppure di interi Stati, la conclusione era la stessa: non è il sistema che è sbagliato; siete voi che non vi impegnate a sufficienza per raccoglierne i frutti.
È bastato, a disinnescare le tensioni e a tacitare il malcontento?
Decisamente no.
Ed ecco allora un nuovo irrigidimento, che in nome di questa o quella emergenza straordinaria e imprevedibile (e perciò incolpevole) pretende di compattare i governi e le rispettive popolazioni intorno a un’unica volontà. Alla quale tutti, nessuno escluso, sono chiamati, e tenuti, a collaborare.
È accaduto con la pandemia. Si è ripetuto, praticamente senza soluzione di continuità, con la guerra in Ucraina. Identificare in Putin il nemico pubblico dell’Occidente ha spalancato le porte a una contrapposizione a tutto campo. Che dal piano esterno si è trasferita anche a quello interno, tendendo a vincolare tutti i cittadini alle scelte di chi li governa.
Il normale dissenso politico ne esce condizionato. O stravolto. Sottrarsi alla condanna onnicomprensiva e unanime di Mosca è sempre meno un’opzione legittima, benché discutibile, e sempre di più una sorta di tradimento degli interessi nazionali.
Pensare con la propria testa è altamente sconsigliato. E poco ci manca che sia considerato sovversivo. Basta ubbidire a chi comanda.