Landini-Cgil: con la scusa del sindacato…

Di: Gerardo Valentini

Ingenuo proprio no. Impudente proprio sì. Nel giro della stessa frase, che diventa esemplare anche di tutto il resto.

«È in atto una campagna contro la Cgil – proclama Maurizio Landini dopo la manifestazione di sabato scorso a Roma – Siamo descritti come quelli che vogliono fare politica. Questa piazza dimostra come fa sindacato la Cgil, difendendo le persone, rilanciando un’altra idea di Paese

Ma… 

Ma cosa c’è di più politico che rilanciare “un’altra idea di Paese”? 

Di per sé, capiamoci, l’intento è perfettamente legittimo. Però a due condizioni. 

La prima, ovvia, è che non ci si nasconda dietro un dito, che in questo caso è l’attività sindacale: quell’attività sindacale che dovrebbe consistere nella rappresentanza dei lavoratori nelle trattative con i datori di lavoro e, nella medesima prospettiva e con i medesimi limiti, con le pubbliche istituzioni a cominciare dai governi nazionali. 

La seconda condizione, cruciale e doverosa in un’organizzazione come la Cgil che ha alle spalle una lunghissima storia, è non fingere di essere appena arrivati sulla scena delle vicende collettive. Quando invece è vero, e indiscutibile, l’esatto contrario: si è stati parte attiva di una miriade di processi che hanno profondamente cambiato il quadro economico. – economico e perciò anche politico – e si sono assecondate delle modifiche sostanziali, attuate via via dai governi di centrosinistra. 

Il nocciolo della questione, il seme della menzogna sistematica, è appunto questo: che se certe trasformazioni a danno dei lavoratori le fanno i partiti amici, con il PD in testa, allora vanno bene. O quantomeno non sono motivo di scontro aperto e acerrimo, perché (ahimè, ahimè) bisogna avere senso di responsabilità e scegliere il male minore.

Se viceversa le maggioranze sono di segno opposto, e a Palazzo Chigi c’è addirittura (ahinoi, ahinoi) un esecutivo guidato da Giorgia Meloni, l’approccio si ribalta: lotta dura senza paura. 

All’improvviso ci si ricorda che il lavoro dipendente si inscrive in una visione assai più ampia dell’economia. Anzi, della politica. 

Ah, la giustizia sociale…

Maurizio Landini non si inventa nulla. Ma questa è un’aggravante. Perché le sue iniziative capziose non riguardano soltanto lui e la Cgil, rientrando invece in un copione che va avanti da molto tempo e che è essenziale capire. Capire e stamparsi in testa. Una volta per sempre.

L’asse portante è che si raccolgono voti con ogni mezzo (con ogni fandonia-trucco-messinscena) e poi li si riversa dove fa comodo. E dove in effetti si era già deciso di incanalarli, in linea con quelle strategie che ci si guarda bene dall’ammettere e che costituiscono l’autentica “mission” della Seconda Repubblica: uniformare l’Italia al modello dominante delle multinazionali e dell’economia finanziarizzata, riducendo le opzioni di voto a due soli schieramenti. Uno più conservatore, l’altro più progressista. 

Modello USA, esatto. Repubblicani di qua, Democrats di là. Wall Street su entrambi. Wall Street e le Big Tech.

Raccolti (raccattati) i voti necessari ad arrivare al governo, una ritrovata ragionevolezza prende il posto dell’oltranzismo da comizio.  

Oplà. Le posizioni incendiare che precedono le elezioni si smorzano prontamente, sino a spegnersi del tutto, e ci si trincera dietro il comodo alibi dello stato di necessità: ci piacerebbe tanto fare così, ma dobbiamo fare cosà. 

Accantonate le istanze ambiziose della giustizia sociale, tra redistribuzione dei redditi e rafforzamento del welfare, i vessilli dei progressisti si riducono a quelli dei valori civili. Le bandiere rosse si tingono di arcobaleno. I pugni chiusi levati contro i poteri forti si distendono in carezze da dispensare, rischiando poco o nulla, alle minoranze deboli.

La vera logica del “campo largo”

Accusare Landini di usare la Cgil per promuovere sé stesso – in vista di un ruolo prettamente politico nelle schiere dell’opposizione, o addirittura alla guida del PD – è giusto per un verso e riduttivo per l’altro.

È giusto perché le sue ambizioni personali sono palesi. È riduttivo perché gli obiettivi vanno molto al di là della sua eventuale ascesa a leader di coalizione. 

La chiave di volta, come abbiamo detto, è espandere il più possibile il bacino elettorale. Sorvolando anche sulle contraddizioni sostanziali che dovrebbero essere dirimenti. Vedi, ad esempio, il dissidio interno al PD tra i sostenitori di Elly Schlein e i “riformisti” che si sono appena riuniti a Milano.

Gianni Cuperlo lo ha dichiarato pari pari in un’intervista pubblicata sabato scorso dal quotidiano La Stampa: «Tutto quello che rafforza l’alternativa a questa destra è un bene: le forze del civismo, movimenti, reti come quella di Ernesto Maria Ruffini. Ma il Pd che ho in mente è sempre aperto e non delega altri a rappresentare i suoi valori fondanti: pace, diritti umani a partire dalle donne, laicità, dialogo tra le religioni».

Della Cgil non ha parlato, ma è sottinteso. Il grande sindacato da oltre cinque milioni di iscritti, di cui però quasi la metà sono pensionati, serve ad aggiungere al cocktail (o al beverone…) l’aroma delle lotte popolari. In modo da perpetuare nei ceti meno abbienti l’illusione che la loro difesa sia una priorità per i partiti di centrosinistra.

In piazza! In piazza!!!

Moltissimi cittadini non abboccano più, perché la dura e lampante realtà ha finito con il risvegliarli dai sogni del passato, ma parecchi/troppi si ostinano a dare credito a chi li ha fregati a ripetizione. E quindi ci ricascano.

Si fanno sedurre dalle manifestazioni di piazza e dalle loro coreografie di pronto effetto. Confondendo l’affollamento nelle strade con la vittoria nelle urne. 

Landini dixit: «C’è una maggioranza di persone che si è rotta le scatole di non essere ascoltata e però tiene in piedi il Paese».

Alle solite: chi vota per loro è una brava persona, chi non lo fa è un cialtrone. 

È la stramba e obliqua “democrazia” che piace ai progressisti. A senso unico. Con loro stessi nel ruolo dei buoni, per diritto acquisito e assoluto. Con la pretesa che un pubblico raduno come quello del 25 ottobre (numeroso sì ma nemmeno poi tanto, se si pensa che era su scala nazionale e che la stessa Cgil parla, trionfalmente, di duecentomila partecipanti) prevalga sulle ripetute conferme di appoggio al governo Meloni e in particolare a FdI. Sia nelle elezioni locali, sia nei sondaggi.

A voler essere garbati, molto garbati, la si può definire propaganda.

A non volerlo essere…

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