Di: Gerardo Valentini
Non ce l’avevano raccontata giusta. Ancora una volta. E come se non bastasse, e per certi aspetti è ancora più grave, non se l’erano raccontata giusta nemmeno tra di loro: tra i molti soggetti, statali e non, governativi e non, dentro e fuori la UE, che in teoria dovrebbero essere alleati a pieno titolo. E, quindi, con obiettivi e strategie condivisi.
Su questo torneremo più avanti. Intanto rimaniamo sul caso specifico, che riguarda gli attacchi con cui, nell’agosto 2022, venne messo fuori uso il gasdotto marino Nord Stream. Quello che era sorto su iniziativa congiunta della Germania e della russa Gazprom e che serviva, appunto, a trasportare il gas verso l’Europa. Facendolo pagare a prezzi di favore, assai più bassi di quelli che sono stati imposti in seguito da altri fornitori e che hanno contribuito non poco, insieme alle sanzioni inflitte a Mosca e ad altri fattori connessi all’instabilità internazionale, ad aumentare i prezzi al consumo di innumerevoli merci, a cominciare dagli alimentari.
La versione iniziale, sostenuta fin dal primo momento, era stata che a colpire l’impianto erano stati i russi stessi. Benché le indagini non fossero nemmeno cominciate, la “conclusione” veniva spiattellata come autoevidente, nel consueto presupposto che il gioco sporco fosse un’esclusiva del Cremlino.
Chi si voleva danneggiare, bloccando il Nord Stream? Ovvio: la Germania e più in generale i Paesi UE.
Chi aveva interesse a esercitare quel tipo di pressione? Ovvio anche questo: Putin.
Pertanto, fra chi la dava per acquisita e chi si limitava a sollevare il sospetto, la pseudo verità che venne instaurata fu questa. E poiché serviva ad alimentare ulteriormente la propaganda anti russa non si andò per il sottile.
Non solo: le inchieste giudiziarie avviate da Svezia e Danimarca furono archiviate con un nulla di fatto.
Quella tedesca, invece, ha proseguito il suo cammino e un po’ per volta è arrivata al proprio epilogo, che ribalta il quadro precedente. A sabotare il Nord Stream sono stati gli ucraini. Più precisamente, un’unità militare che dipendeva nientemeno che da Valeriy Zaluzhny.
All’epoca, e fino all’8 febbraio 2024, comandante in capo delle Forze Armate di Kiev. Oggi ambasciatore a Londra.
All’insaputa di Zelensky?
Vale per questo caso e vale anche altrove. Per le tante vicende più o meno torbide che continuano ad accadere in Ucraina.
Ivi incluso, anzi in primis, il governo. Il governo, ai suoi diversi livelli sia centrali sia periferici, e l’entourage di Zelensky, presidente dal 2019 sull’onda dello straordinario successo della fiction tv Servitore del popolo.
L’ultimo scandalo, a suon di maxi tangenti, è esploso in questi giorni e ha già portato alle dimissioni del ministro della Giustizia Herman Galushchenko e di quello dell’Energia, Svitlana Grynchuk. Nonché alla precipitosa fuga all’estero di Timur Mindich, stretto collaboratore di Zelensky e con lui ex comproprietario di Kvartal95, la casa di produzione della succitata serie televisiva.
Gli interrogativi, a cascata, sono tanto ovvi quanto doverosi: è mai possibile che tutti questi abusi accadessero alla totale insaputa del Capo dello Stato? E semmai si dovesse riconoscere che lui non ne era a conoscenza, fino a che punto rimane attendibile, e persino legittima, la sua leadership?
Insomma: è giusto oppure no ostinarsi a ritenerlo all’altezza dell’importantissimo ruolo che riveste e che peraltro, a causa (o con la scusa) della guerra, si è ormai trasformato in una carica dai poteri pressoché assoluti e a tempo indeterminato?
Europa e Occidente: un’unità fittizia
Il ritorno di Trump alla Casa Bianca lo ha reso palese, ma solo sull’asse USA/UE e con implicazioni che in generale sono state ampiamente sottovalutate. Come se si trattasse di turbolenze transitorie, dovute più alla dirompente personalità di The Donald che a una crescente e irreversibile divaricazione tra Washington e noi.
Che questa interpretazione a scartamento ridotto derivi da una deliberata volontà di manipolare l’opinione pubblica, o viceversa dal bisogno di illudersi che il quadro sia meno grave e radicato di quello che è, il risultato non cambia. Resta comunque miope. E perciò non mette a fuoco il problema essenziale: dietro l’apparente/esibita condivisione di valori e finalità si muovono interessi particolari e addirittura contrapposti.
Il fatto che gli USA perseguano scopi a sé stanti, e che in tale prospettiva non esitino a danneggiare i Paesi europei, non si esaurisce nelle relazioni tra i due blocchi. Ma si riverbera sui rapporti interni alla UE, ossia tra gli Stati membri. E si estende, a maggior ragione, a quelle nazioni che della UE non fanno parte ma che vengono considerate alleate affidabili o addirittura, come l’Ucraina, un baluardo da difendere a oltranza e con ogni mezzo.
La realtà è ben diversa.
Intorno alla questione macroscopica di una Casa Bianca che allarga i suoi margini di autonomia rispetto all’Europa, ce ne sono altre che balzano meno all’occhio ma che non per questo sono trascurabili.
Ad esempio: la Polonia che obiettivi ha? E la Turchia? E i rispettivi governanti? Donald Tusk, Recep Tayyip Erdoğan, Volodymyr Zelensky. Agiscono sempre in chiave nazionalista o utilizzano i loro incarichi per mire differenti, più o meno egoistiche e comunque inconfessabili?
Sono domande cruciali. Perché non si ha nessuna chance di vittoria, se non è perfettamente chiaro chi gioca nella stessa squadra e chi no.
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