Di Gerardo Valentini
Dalla Storia infinita al… livore infinito.
La Storia infinita, ovviamente, è il titolo del best seller di Michael Ende che fu pubblicato nel 1979 e che ha ispirato il nome della manifestazione che cominciò quasi venti anni dopo, nel 1998, per riunire la gioventù di destra. Il protagonista del romanzo si chiamava Atreiu. Venne trasformato in Atreju.
Il livore infinito, invece…
Vediamo un paio di esempi, tra gli altri. Un paio di esempi che sono legati a questo caso specifico – la nuova edizione di Atreju che comincia oggi a Roma e che si protrarrà sino a domenica prossima – ma che rientrano in un atteggiamento di gran lunga più diffuso. Per non dire generalizzato.
Il primo è la vignetta pubblicata ieri in prima pagina dal Fatto Quotidiano. Una caricatura di Giovanni Donzelli, deputato e responsabile organizzativo di Fratelli d’Italia, corredata da queste due “garbate” diciture: sopra, Troiaju; sotto, L’allegro pupazzo mascotte di Atreju.
Il secondo, su Repubblica, è la pseudo analisi di Concetto Vecchio. La presenza di Elon Musk all’edizione di quest’anno di Atreju non gli garba (eufemismo: gli sta proprio sul gozzo…) e se ne esce così: “Feroci con gli avversari, indulgenti con i nuovi amici, specie se Paperon de’ Paperoni. Lui va bene, Soros no”.
Grosso guaio, la frustrazione
Ma che c’entra? Le critiche a Soros non vertono mica sul fatto che è un multimiliardario, bensì sulle sue posizioni riguardo alla cosiddetta “società aperta”. Che, come si legge nella presentazione del libro di Pierre-Antoine Plaquevent sull’argomento, “si impone attraverso la sovversione globalista di ogni forma di radicamento: popoli, Nazioni, tradizioni e Comunità sono sostituiti da un ‘mondo nuovo’, fondato sulla tecnocrazia post-umana e sul cosmopolitismo apolide”.
Chiarita la frecciatina a vanvera, passiamo alla vera motivazione del commento avvelenato. Avvelenato dall’interno, diciamo così. Dall’eccesso di bile.
Scrive l’articolista del quotidiano che fu di Eugenio Scalfari e che, cammina cammina, declina declina, è finito nelle mani di Maurizio Molinari: “Mondo mediatico in subbuglio. Castel Sant’Angelo caput mundi da giovedì a domenica nel nome di «Giorgia». Un tempo queste attenzioni erano riservate alla sinistra, che invece, venerdì mattina, si ritroverà all’ex Mattatoio di Testaccio per l’ennesima operazione nostalgia: la mostra su Enrico Berlinguer voluta da Ugo Sposetti, che radunerà Massimo, Walter, Pierluigi, Elly. Ora impera l’egemonia culturale della destra”.
Ah, ecco.
Ecco dove sta il problema: sotto i riflettori non ci sono più solo loro, a scambiarsi omaggi reciproci e salamelecchi incrociati, e gli scoccia da morire che la situazione sia cambiata.
Davvero insopportabile, questa destra che esce dal ghetto del post fascismo e può avere interlocutori e ospiti di grande o grandissimo calibro.
Non toccategli i loro cocchi
A proposito: a stizzire gli alfieri del mainstream non è soltanto Elon Musk. Tra gli ospiti sgraditi di Atreju 2023 c’è pure Luciano Spalletti.
E il compito di tirargli le orecchie, e di richiamarlo all’ordine, se lo prende Massimo Gramellini. Che nel suo classico appuntamento quotidiano sulla prima pagina del Corriere della Sera, insorge come segue.
“A una festa di parte, come giustamente Donzelli ha definito Atreju, sarebbe meglio sfilassero persone di parte, di qualunque parte. Non i pochissimi «super partes» che ci possiamo ancora permettere, uno dei quali è proprio il c.t. della Nazionale.”
La premessa è quella che è. L’apoteosi (di cosa? decidetelo voi) si trova nel finale.
“Resto dell’idea che adesso Spalletti sia come Fiorello: un patrimonio della Nazione da sottrarre anche solo al sospetto di strumentalizzazioni di parte.”
Capito? Spalletti e Fiorello sono “un patrimonio della Nazione”. In attesa, chissà, di diventare anche un Patrimonio dell’Umanità sotto l’egida dell’Unesco.
Livore di qua, sciocchezze di là.
La negazione della realtà genera mostri. O mostriciattoli.
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