Di Gerardo Valentini
Mi piace essere chiaro e lo sarò anche questa volta: il nuovo termovalorizzatore di Roma si deve fare. Smettendola, innanzitutto, di sovraccaricare la discussione con tonnellate di questioni di principio. Come se costruire questo specifico impianto equivalesse di per sé a sancire, in via definitiva e irrevocabile, che si tratta dell’unica opzione possibile. Non soltanto nell’immediato ma anche in futuro. Nei secoli dei secoli, amen.
Non è così.
La decisione, infatti, verte su una realtà particolare. Che è quella di Roma e dei suoi rifiuti. Una realtà sulla quale non si è mai intervenuti in modo nitido e sistematico, rinviando all’infinito le scelte strutturali e rifugiandosi, al contrario, nelle dilazioni senza fine e nelle pseudo soluzioni, a dir poco ambigue, imperniate sulla logica dell’emergenza. Che è, e rimane, uno degli alibi più pretestuosi e abusati da parte della politica.
Ci vuole l’esatto opposto, invece. Ci vogliono strategie precise e con piani di medio-lungo periodo.
I quali, naturalmente, devono partire da un’analisi quanto mai realistica delle cose come sono.
Un paio d’anni, per uscirne
A Roma il dato di fatto è indiscutibile. Da moltissimo tempo l’enorme quantità dei rifiuti prodotti ogni giorno non può contare su procedure adeguate di smaltimento.
Da un lato i sistemi “tradizionali” basati sulle discariche ubicate nel territorio del Comune, o quantomeno del Lazio, non bastano più. Tanto è vero che si è reso necessario ricorrere all’aiuto, ovviamente non gratuito, di altre Regioni o addirittura di Stati esteri.
Dall’altro, le procedure innovative che si ispirano alla cosiddetta “economia circolare” rimangono ancora lontanissime dal conseguire il loro obiettivo ideale, che è l’azzeramento pressoché completo dei rifiuti indirizzati alle discariche.
Piaccia o non piaccia, questo stato di cose deve essere affrontato. Con delle iniziative che non siano i classici, e stramaledetti, “interventi tampone”, ma che assicurino dei rimedi efficaci e consolidati.
Il termovalorizzatore, appunto, rientra in questa categoria. E se finalmente si uscisse dall’attuale, interminabile impasse lo si potrebbe costruire nel giro di un paio d’anni.
Come dimostrano le esperienze più qualificate e già esistenti, grazie alle tecnologie odierne i vantaggi sono di gran lunga superiori agli svantaggi. Benché non totalmente annullate, le emissioni nocive sono ormai assai ridotte. E anch’esse, d’altronde, non vanno valutate/demonizzate paragonandole a quello zero assoluto che sarebbe auspicabile ma che al momento è impossibile.
Il giudizio, come sempre, deve essere incardinato sulle condizioni effettive, anziché sul desiderio che le circostanze siano diverse e migliori. Aspirare a dei modelli alternativi e più sani è senz’altro legittimo, ma a patto di non degenerare nell’asserzione dogmatica. Che nell’ansia di affermare i propri valori se ne infischia di quanto essi siano davvero realizzabili nell’immediato: auspicando il meglio, perpetua il peggio. Se lo fa in buonafede, pecca di ingenuità. Se lo fa per altri motivi, per altri scopi, diventa imperdonabile.
Il pessimo esempio, qui nel Lazio, è l’atteggiamento di Nicola Zingaretti. Che non solo ha osteggiato il progetto del termovalorizzatore di Roma, ma ha addirittura rivendicato la sua contrarietà nel modo più drastico: «la Regione – ha affermato pochi giorni fa in polemica, evidentemente preelettorale, con il leader del M5S – non ha mai autorizzato e mai autorizzerà nessun inceneritore. Lo abbiamo deciso noi da anni e non lo decide certo Giuseppe Conte. Non serve che ce lo ricordi».
Alle solite: lo strano mondo del PD. A Roma ha sostenuto un sindaco, Gualtieri, che vuole il termovalorizzatore. Alla Regione aveva un presidente che lo rigettava in toto.
Sempre meno idee, sempre più confuse.
E loro, magari, lo chiamerebbero pluralismo.