Di Gerardo Valentini
Italiana ma… in Arabia Saudita.
Se non fosse che i precedenti abbondano, l’incongruenza balzerebbe all’occhio. E susciterebbe le reazioni infastidite, o addirittura indignate, di chi è ancora convinto che il calcio debba essere innanzitutto uno sport e solo poi, molto poi, anche un’attività commerciale.
Guadagnarci è lecito, stravolgerlo no. Snaturarlo, rinnegando i legami originari con i territori di appartenenza delle squadre e dei loro tifosi, men che meno.
Qui da noi non è affatto una novità, la sciagurata decisione di trasferire all’estero l’epilogo della Supercoppa nostrana, ma questa è un’aggravante. La conferma che non si tratta affatto di un abbaglio occasionale ma di una prassi consolidata. Che ebbe la sua anteprima nel 2003, quando la partita decisiva tra Juventus e Milan ebbe luogo negli USA e più precisamente nel Giants Stadium di East Rutherford, New Jersey. E che però, all’epoca, poteva sembrare un caso sporadico, visto che nei cinque anni successivi si tornò a giocarla in Italia.
Poi, invece, ci fu Pechino. Nel 2009, nel 2011 e nel 2012. E da lì in avanti un’alternanza di città italiane e straniere. Doha e Shangai e Gedda. E infine Riad.
Semplice: se ci pagano andiamo. Anzi, ci precipitiamo.
Manco in Inghilterra…
Maurizio Sarri – che oggi allena la Lazio e che quindi è direttamente coinvolto perché il suo club sarà tra i quattro partecipanti alla fase conclusiva che prende il via giovedì prossimo e si svolgerà appunto a Riad – ha centrato benissimo la questione: «Prendi i soldi e scappa».
La sintesi è fulminante, la spiegazione è affilata.
Parlando prima ai microfoni di Dazn e poi in conferenza stampa, il tecnico della Lazio è andato ripetutamente a bersaglio.
Disputare la Supercoppa italiana all’estero «è tutto tranne che sport ed è una scelta miope. È il segno di un campionato che ha bisogno di soldi e li cerca nelle maniere meno opportune. La finale di FA Cup si gioca da 120 anni a Wembley. Noi si va a elemosinare in giro per il mondo. Con tutti i problemi che ci sono, si fa la Supercoppa a 4… Se il calcio moderno è questo, sono felice di essere vecchio».
Verità inconfutabili, a parte la svista sui “120 anni a Wembley”: in realtà gli anni sono quasi cento, a partire dall’edizione 1922-23 e con una momentanea pausa, tra il 2001 e il 2007, per la costruzione del nuovo stadio.
Verità inconfutabili e persino ovvie.
Ma solo, si intende, per chi non si sia piegato-inginocchiato-prostrato alla logica affaristica, e perversa, del “vale tutto pur di fare quattrini”.
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