Di Gerardo Valentini
Uno spauracchio tira l’altro. Quello del “pericolo fascista”, in effetti, non ha funzionato un granché: Fratelli d’Italia continua a crescere nei sondaggi e appare sempre di più il trionfatore annunciato delle prossime elezioni. Sia i simpatizzanti/sostenitori, sia la stragrande maggioranza degli altri, stanno dimostrando di avere ben chiaro ciò che a Enrico Letta sembra sfuggire: Giorgia Meloni aspira a Palazzo Chigi, non a Palazzo Venezia.
Già. Il Terribile Spavento, benché agitato proprio nel centenario della Marcia su Roma del 1922, non ha spaventato nessuno. Anzi, c’è da chiedersi quanti siano, persino nelle file del PD, quelli che ci credono davvero. Ben più probabile, invece, è che si stiano limitando a ripetere a pappagallo il copione, misero, che devono mettere in scena. Il titolo, parafrasando il film di Troisi e Benigni (occhio: in quest’ordine), glielo regaliamo noi: “Non ci resta che perdere”.
Fallito il primo tentativo, comunque, eccone pronto un secondo. L’Allarme Presidenzialismo. Ossia il timore, il terrore, che il Centrodestra lo possa imporre in modo unilaterale nel caso in cui si aggiudichi, tanto alla Camera quando al Senato, un numero di seggi superiore ai due terzi del totale. Disponendo così di quella maggioranza “qualificata” che consente di modificare la Costituzione, ai sensi dell’art. 138, senza bisogno di sottoporre le innovazioni a un referendum confermativo.
A Enrico Letta, evidentemente, la prospettiva risulta insopportabile. E prova ad argomentare il perché. «Sono contrario – dice – non perché pensi che il presidenzialismo porti a una dittatura, ma perché la nostra Costituzione è anti-presidenzialista. Chi propone oggi la torsione presidenziale non sta proponendo un aggiustamento della Carta ma la sua cancellazione».
Ma questo non è un argomento. Men che meno è un argomento decisivo. Più semplicemente, e allo stesso tempo più capziosamente, è un circolo vizioso: siccome la Costituzione non prevede il presidenzialismo, allora è vietato introdurlo. E chi ambisca a farlo è un eversore dell’ordine costituito.
Del quale ordine, viceversa, lo stesso PD è il Sommo Custode.
W la stabilità (quando è a loro vantaggio)
È una lunga storia e varrebbe la pena di ricostruirla per filo e per segno. Ma ci vorrebbe molto più spazio e quindi ci limiteremo all’essenziale. Ovverosia al disegno strategico con cui l’establishment italiano si è prefisso, sull’onda dell’avvento della cosiddetta Seconda repubblica, di blindare la propria supremazia. Mettendosi al riparo da qualsiasi istanza di segno opposto che arrivasse direttamente dal popolo, attraverso le elezioni.
Quell’offensiva è cominciata allora e non si è mai esaurita. Perché è strategica, appunto. E come si conviene in ogni strategia a lungo termine si avvale, di volta in volta, di tattiche diverse.
Limitiamoci a ricordarne un paio tra le più importanti: da un lato il tentativo di bloccare il quadro politico con il pretesto di una sua semplificazione, cercando dapprima di arrivare al bipartitismo e poi ripiegando sul bipolarismo; dall’altro, il ricorso ai tecnici alla Mario Monti e alla Mario Draghi, nonché ai vincoli imposti dalla UE o, più precisamente, dalla Commissione europea.
Il filo conduttore è stato, e rimane, quello di neutralizzare il voto popolare, ogni volta che si prospetti un suo disallineamento rispetto ai desiderata delle oligarchie al potere. Ed è appunto in questa chiave che va letta l’odierna contrarietà di Letta al presidenzialismo. Così come si deve fare lo stesso per i toni allarmistici, e le lacrime di coccodrillo, con cui si denunciano i “rischi” connessi alla quota maggioritaria prevista dall’attuale legge elettorale: quel Rosatellum che lo stesso PD ha contribuito a imporre nel 2017, mentre FdI votò contro, perché all’epoca riteneva di potersene avvantaggiare.
Il vero nodo è questo.
È che le stesse identiche misure vengono valutate in modo del tutto diverso a seconda che favoriscano o meno gli assetti dominanti. Perché in realtà è di questi, e non già della Costituzione, che il PD è il custode.
Il presidenzialismo contro cui si scaglia Enrico Letta è quello che andrebbe a conferire maggior potere all’odiato Centrodestra, riducendo il ruolo della Camera e del Senato. Ma la crescente subordinazione del Parlamento all’Esecutivo è un processo che di fatto è in corso da molto tempo, con il dilagare dei decreti legge e dei voti di fiducia. Nonché, dai primi mesi del 2020 in poi, con il ricorso prolungato a uno “stato di eccezione” che ha annichilito il libero confronto tra i vari partiti e li ha ridotti a meri sottoscrittori di quanto veniva deciso dal governo di turno.
La Costituzione, ci pare di ricordare, prevedeva tutt’altro.