Di Gerardo Valentini
Che sfida! Quella che attende il neonato governo guidato da Giorgia Meloni lo è di sicuro. Ed è una sfida difficile e per molti versi proibitiva, ma allo stesso tempo è straordinaria ed entusiasmante.
Il punto chiave è proprio questo: è nel modo di guardare alle questioni da affrontare e ai pericoli che incombono. Bisogna osservarli con tutta la lucidità necessaria. Non bisogna lasciarsene atterrire. E men che meno schiantare. A parità di condizioni c’è sempre un margine di manovra, per quanto stretto possa essere (o apparire) e lo si dovrà sfruttare sino all’ultimo centimetro: in attesa di poterlo allargare. Mentre si lavora per poterlo allargare.
Che le difficoltà attuali siano enormi è sotto gli occhi di tutti. Un guazzabuglio di cause e di effetti, di vecchi squilibri e di nuove instabilità. Un groviglio in cui le specifiche carenze del nostro Paese si intrecciano alle turbolenze che scuotono la scena internazionale e ne stanno mettendo in discussione l’assetto preesistente.
Questo stato di cose è un dato di fatto. Nessuno può trovarlo desiderabile, ma qui non si tratta di scegliere: non è un’azienda che puoi decidere di comprare oppure no, in base al suo stato di salute e alle sue prospettive di successo, nel presente o nel futuro. La politica non permette questo tipo di opzioni. La politica deve vedersela con quello che esiste, non con quello che preferisce.
L’Italia è quella che è. Negli individui ha risorse cospicue e potenzialità eccezionali, che infatti riescono piuttosto spesso a sopravvivere nel marasma generale e magari si affermano su più vasta scala in determinati comparti produttivi o in certe realtà territoriali. Sul piano organizzativo, e specialmente istituzionale, è invece zavorrata da macigni di inefficienza, di ottusità burocratica, di clientelismi assortiti. Quando non addirittura avviluppata nelle reti della corruzione e della connivenza con la criminalità, a cominciare dalle mafie.
Va detto con la massima franchezza: metterci le mani, e cercare di arrivare a una bonifica autentica e profonda, è un compito che fa tremare le vene ai polsi.
Mattarella dixit: iter breve «per la chiarezza dell’esito elettorale»
Il nuovo governo – che appare davvero guidato, e non solo presieduto, da Giorgia Meloni – deve operare in questo ginepraio e per di più è pressato da numerose e inderogabili urgenze. Oltretutto, è nel mirino degli schieramenti avversari, supponenti come al solito e incattiviti dalla sconfitta elettorale: i partiti dell’establishment, con il PD in testa, e i loro tantissimi fiancheggiatori che imperversano nel sistema mediatico e che gli reggono il gioco.
Commentatori che si fingono super partes ma che in pratica sono sempre “allineati e coperti”. Censori a corrente alternata che dopo le elezioni del 25 settembre, ma per molti versi anche prima, non fanno che ribadire a getto continuo le più fosche previsioni: il nuovo esecutivo del Centrodestra non può durare, non durerà, crollerà in breve tempo. Per i dissidi interni e per i problemi oggettivi che non riuscirà a gestire. Perché i suoi esponenti non sono abbastanza qualificati, abbastanza accreditati all’estero, abbastanza avvezzi alle insidie del governo nazionale, così diverse dallo starsene all’opposizione a criticare il lavoro altrui.
A sentire loro, del resto, non era nemmeno sicuro che il nuovo esecutivo nascesse. E invece è nato. Sulla base, finalmente, di un mandato popolare ampio e nitido, che mancava dall’imposizione a Palazzo Chigi di Mario Monti, alla fine del 2011, e che non sussisteva nemmeno nelle pasticciate coalizioni “rossoverdi” o “giallorosse” dal 2018 in poi.
Persino Sergio Mattarella, che certo non ha grande simpatia per questa maggioranza, ha dovuto ammetterlo: l’iter «è stato breve, meno di un mese dalla data delle elezioni. È stato possibile per la chiarezza dell’esito elettorale ed è stato necessario procedere velocemente per le condizioni interne e internazionali che esigono un governo nella pienezza dei suoi compiti».
E allora, appunto, che la sfida cominci.
Con i migliori auguri, da parte nostra, che porti a decisioni condivisibili e a risultati positivi. Da un lato, perché ciò attesterebbe che la politica nazionale sa fare da sé, senza doversi affidare ai super tecnici di turno e senza appiattirsi sulle decisioni/diktat della Commissione Europea. Dall’altro, e soprattutto, perché si dischiuderebbe un futuro diverso e migliore per il nostro Paese. Per la nostra Italia.