Di Gerardo Valentini
Non si era reso conto, poverino.
Non si immaginava proprio che i suoi atti dirompenti, i suoi messaggi incendiari, le sue iniziative contraddittorie, potessero sortire effetti così lontani dalle intenzioni.
«Sono qui per sapere chi sono. Sono il peggiore? Sì, sono il peggiore, ho peggiorato questo Paese. Dall’ultima intervista rilasciata a Vespa (nel 2014, ndr) abbiamo perso le elezioni. Tutti quelli che avevo mandato a fare in c… sono al governo. Cosa devo fare? Sono veramente il peggiore».
Un tentativo dopo l’altro e guarda un po’ cos’è successo. Ahimè, non è andata come lui sperava.
«Ho fondato il Movimento ma mi ero iscritto al Pd, ad Arzachena. Adesso sono anziano e confuso. Non posso condurre e portare a buon fine un movimento politico, non sono in grado.»
L’ultimo Beppe Grillo la racconta in questo modo. E lo fa nel salottino televisivo di Fabio Fazio, dove notoriamente non si rischia nulla. Il padrone di casa è tanto garbato e più che fare domande, le porge. Non essendo nato giornalista, ma imitatore, si presta più che volentieri a fare da spalla. I duelli sono esclusi. O tutt’al più li si simula, a mo’ di siparietti. Come con la Littizzetto: lei volgaruccia e aggressiva, lui, il gentil Fabietto, fintamente scandalizzato. «Lucianina! Ma insomma…»
Beppe Grillo ha campo libero. E manco a dirlo ne approfitta. Si prende la scena e la occupa a piacimento. Muovendosi molto, che è un primo modo di attirare l’attenzione, e sciorinando provocazioni verbali a getto continuo, che sono l’altro artificio essenziale del suo repertorio.
Molto bravo, vero?
E anche divertente, se si trattasse solo di un comico. Se sull’arco di tanti anni non avesse ingannato parecchi milioni di cittadini presentandosi ai loro occhi come un leader politico che prometteva di cambiare il Paese. Di rivoluzionarlo da cima a fondo.
Non solo migliorarlo, mantenendosi però all’interno delle stesse linee generali. Ma addirittura risanarlo. Via i vizi – originari o sopravvenuti – e spazio a una società finalmente guarita.
Disinteressata. Onestissima. Solidale ed egualitaria al sommo grado.
Dategli un copione…
Troppo comodo, cavarsela così. Liquidando come una sequela di inciampi involontari e di abbagli “per eccesso di entusiasmo”, i ribaltamenti di ciò che si era prima scatenato e poi mandato a ramengo.
Prima innescato, promettendo esplosioni epocali, e poi smorzato e reso innocuo, o persino nocivo, affidandosi a comparse travestite da mattatori. Giggino Di Maio in testa.
La verità è agli antipodi.
Di ingenuo, in Beppe Grillo, non c’è davvero nulla. Al contrario: si tratta di un individuo estremamente abile. Di uno showman tanto talentuoso quanto esperto, temprato com’è da una carriera lunga quasi cinquant’anni, che conosce a menadito i meccanismi dello spettacolo. Ovvero della conquista di un pubblico. Come lo si interessa, lo si coinvolge, lo si seduce.
La stragrande maggioranza delle persone non vuole sentirselo dire, ma la verità è proprio questa: nello spettacolo, che è di per sé una messinscena, i temi di cui si parla possono essere i più diversi. Sino a diventare accidentali.
L’artista autentico esprimerà quello in cui crede. Il professionista a pagamento si impegnerà a rendere attraente qualsiasi cosa. I produttori lo pagano, lui ha quel tipo di capacità, non c’è bisogno di nient’altro. Come dicono gli americani, business as usual. Affari come al solito.
La particolarità, nel caso di Grillo, è un’altra. È che lui, a un certo punto, ha trasformato gli spettatori in seguaci. E dopo ancora in elettori. In una fase iniziale si è preparato il terreno con una lunga serie di spettacoli teatrali cominciati negli anni Novanta e segnati da un crescendo di attacchi contro i modelli dominanti e i relativi centri di potere. Successivamente ha alzato il tiro e si è spinto oltre.
Prima i meetup, nel 2005. Poi il V-Day, nel 2007. E infine, nel 2009, la creazione ufficiale del MoVimento Cinque Stelle.
A proposito: MoVimento. Leggetelo separando le parole e avrete la chiave, beffarda, che spiega tutto: Mo Vi Mento.
Visionario, come no
Il trucco finale di Grillo, da qualche anno in qua, è presentarsi come un visionario. Persa qualsiasi credibilità come teorico razionale e come organizzatore efficiente, la via d’uscita è rifugiarsi nei paradossi. Come se l’unica cura possibile, ormai, fosse disintegrare ogni tipo di logica: il futuro non si può pianificare, ma se ne può solo predisporre l’avvento liberandosi dei vecchi modi di pensare. Di agire. Di rapportarsi con la realtà, nella politica e altrove.
Il capopopolo sputtanato si ricicla come sciamano. “Se voi mi trovate incoerente è perché non mi capite. Io non vivo di ragionamenti compiuti, ma di intuizioni fulminanti”. Non è più il tempo di fare piani precisi. È il tempo del Joker.
E pazienza se, nel frattempo, gli ex infervorati discepoli del M5S si sono trasformati in politicanti in carriera. Che ieri hanno appoggiato il governo Draghi e oggi si fanno guidare da Giuseppe Conte, inseguendo faticosamente un qualche tipo di intesa con il PD di Elly Schlein.
Grillo cade dalle nuvole. È anziano, si confonde, non sa bene che cosa deve fare. Tuttavia lo fa: e dopo aver imbrigliato il vasto malcontento popolare che si era andato diffondendo sull’onda della maxi crisi finanziaria del 2008, spende i residui bagliori della sua verve di showman per un ultimo inganno.
In apparenza si autoaccusa. Nella sostanza si autoassolve.
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