Guadagni in calo con la svolta politicamente corretta. Victoria’s Secret ridiventa sexy

di Giuseppe Pollicelli (da “La Verità” del 29 ottobre 2023)

Ma insomma, l’avvenenza femminile è il problema o è la soluzione? Viene da domandarselo, alla luce delle recenti vicende di Victoria’s Secret, ditta statunitense leader a livello mondiale nel settore della lingerie che da alcuni anni registra una costante erosione del fatturato (a cui, ovviamente, già da tempo sta cercando di porre rimedio). In realtà è sempre estremamente difficile comprendere i veri motivi per cui un marchio incappi in periodi più o meni gravi, e più o meno duraturi, di crisi. I fattori possono essere diversi: la concorrenza degli altri brand, la saturazione da parte dei consumatori, campagne pubblicitarie non abbastanza efficaci, un passo più lungo della gamba negli investimenti commerciali… Neppure gli analisti più navigati sono in grado di fornire risposte certe. Eppure c’è qualcuno che la spiegazione era sicuro di averla in tasca, e il problema è che ai piani alti di Victoria’s Secret gli hanno prestato ascolto. Questo qualcuno è quella vasta e dominante galassia culturale che porta avanti, o per meglio dire impone, le cause della political correctness (il famigerato «politcamente corretto»), del woke, della cancel culture e via proseguendo con i neologismi inglesi. Quando nel 2019 – per la prima volta dal 1977, anno della sua fondazione – Victoria’s Secret ha accusato un serio arretramento nelle entrate dopo qualche avvisaglia risalente al 2016, tale invasivo movimento d’opinione ha sentenziato che la ragione del calo andasse individuata nel fatto che l’azienda americana, anziché dimostrarsi «inclusiva» e attenta a ogni genere di minoranze, insistesse a fondare la propria immagine sul ricorso a modelle di non comune gradevolezza estetica e – sbaglio (anzi colpa) ancora più grave – preferibilmente di etnia caucasica. Come quasi sempre succede quando quest’aggressiva forma di neopuritanesimo prende di mira un soggetto che non le va a genio, Victoria’s Secret ha iniziato a essere ispezionata senza misericordia dagli autoproclamatisi «paladini della diversità», divenendo il bersaglio di accuse via via più pesanti.

Nel 2022 è stata addirittura realizzata una serie televisiva dal titolo “Victoria’s Secret: Angels and Demons”, trasmessa in Italia dal canale Disney+, in cui vengono denunciate nefandezze quali la presunta discriminazione verso alcune modelle, la perorazione di un modello fisico fuori dall’ordinario (per conseguire il quale si rischierebbe la salute) e, naturalmente, una più generica mercificazione della donna. Non solo: il magnate Les Wexner, ex proprietario di Victoria’s Secret (e di un altro celebre marchio di abbigliamento in ancor più serie difficoltà, Abercrombie & Fitch), era in rapporti d’affari con Jeffrey Epstein, l’imprenditore suicidatosi nel 2019 dopo essere stato condannato per abusi sessuali ai danni di minorenni, e com’è noto, in clima di caccia alle streghe, basta aver avuto a che fare con un malfattore per essere bollati come malfattori a propria volta. Evidentemente convintisi che le donne di tutto il mondo, di fronte a un negozio di Victoria’s Secret, esitassero a mettervi piede poiché disgustate dall’eccesso di belle ragazze dalla pallida epidermide rilevabile negli spot e sui manifesti dell’azienda, o in quanto allarmate dalle passate frequentazioni tra Wexner ed Epstein, i capoccioni del brand di biancheria intima hanno quindi mutato strategia comunicativa e intrapreso iniziative dalle indubbie potenzialità inclusive tipo sovvenzionare reportage dal Giappone e dalla Nigeria, finanziare un documentario incentrato su stiliste e artiste indipendenti di tutto il mondo, mandare in passerella – con o senza le ali da angelo che da sempre identificano le modelle di Victoria’s Secret – la venticinquenne rapper di colore Doechii, fornita di svariate frecce al proprio arco tra cui un monumentale posteriore che, in ossequio alla lotta contro le discriminazioni, ha disinvoltamente squadernato in occasione di una sfilata. Risultato? Peggio che andar di notte: tanti riscontri sui social (like, condivisioni, grandi apprezzamenti su Tik Tok e Instagram), ma vendite ancora più in basso. Colto da comprensibile panico, il manager Greg Unis si è di recente rivolto agli azionisti di Victoria’s Secret spiegando loro che è il caso di procedere a un dietrofront con tutti i crismi, poiché «anche il sexy può essere inclusivo» (sono appunto parole di Unis). Tradotto: si torna alla sensualità sfacciata, agli ammiccamenti erotici, alla bellezza fuori categoria. Sempre avendo come bussola l’inclusività, ci mancherebbe altro, ma se possibile senza mai dimenticare che la prima cosa che ogni attività imprenditoriale deve includere, e Victoria’s Secret non fa certo eccezione, sono i quattrini.