di Gerardo Valentini
Non dovrebbe servire nessun esempio, perché gli esempi sono innumerevoli. E lo sono al punto che questo genere di affermazioni, di sottolineature, di moniti più o meno severi e intimidatori, viene sciorinato a getto continuo. Con un’ulteriore intensificazione, manco a dirlo, in campagna elettorale: quando finalmente sono i cittadini a poter dire la loro, sia pure in quel modo occasionale e tutt’altro che risolutivo che è il voto.
Restiamo sulla strettissima attualità. Su ciò che è apparso sui media nella giornata di ieri. L’edizione online del Fatto Quotidiano titolava così: “La Casa Bianca pensa al prossimo governo italiano: “Biden prenderà le misure al nuovo premier”. «Dall’Europa – inveiva Enrico Letta in un’intervista pubblicata sulle pagine di Repubblica – dipendono la tenuta del nostro debito pubblico, cioè dei nostri risparmi, e la spesa degli oltre 200 miliardi del Pnrr, su cui non possiamo fallire. La cambiale a Putin la pagano gli italiani». Qua e là, intanto, venivano riportate le parole, minacciose, pronunciate in un intervento alla celebre università statunitense di Princeton dalla presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen: «Se le cose dovessero andare in una direzione difficile abbiamo gli strumenti (per recuperare). Se invece dovessero andare nella direzione giusta, allora i governi responsabili possono sempre giocare un ruolo importante».
C’è bisogno di spiegare quale sia questa “direzione difficile” temuta da frau Ursula? E quale sia, invece, quella “giusta” che lei auspica?
No che non c’è.
Sovranità. Non sovranismo
Ciò che merita di essere spiegato con cura, invece, è il filo conduttore che attraversa tutte queste dichiarazioni, benché nessuno dei suoi sagrestani abbia la franchezza di parlarne in maniera del tutto esplicita. E di assumersene, perciò, la piena responsabilità.
Strisciante nella forma, pressante nella sostanza, il concetto riemerge di continuo: nessun governo italiano può prescindere dall’approvazione degli USA e della UE. Perché altrimenti ci saranno delle pesanti, pesantissime conseguenze. Che dal piano politico si estenderanno fatalmente a quello economico e ci spingeranno verso il collasso generale, presi in mezzo tra il crollo del PIL a causa dell’isolamento commerciale e un’esplosione ancora più massiccia del debito pubblico, per effetto dell’impennata dei tassi d’interesse sui nostri titoli di Stato.
È un quadro drammatizzato a fini propagandistici? Una distorsione che mira a scoraggiare gli elettori dal votare i partiti che non si allineano in toto alle tendenze dominanti e, più in particolare, quelli di destra come Fratelli d’Italia e la Lega? Solo in parte. E questo, paradossalmente, rende il problema ancora più grave.
Il sottinteso, infatti, è che la libertà dei cittadini di scegliere i propri governanti non è più assoluta, come si conviene a un popolo sovrano, ma subordinata a condizioni esterne. Una libertà, quindi, più apparente che sostanziale. Una libertà a scartamento ridotto. Compressa, e compromessa, da limiti prefissati e inderogabili, che scaturiscono da entità straniere – da volontà e strategie straniere – e che in quanto tali sono in contrasto con la Costituzione. E con l’idea stessa di repubblica.
Quello che sembra sfuggire (eufemismo) è che a tutt’oggi l’Italia non appartiene a nessuna federazione sovrannazionale e che i suoi rapporti con qualsiasi stato estero, perciò, vanno considerati delle relazioni in perenne divenire. Ivi inclusi i trattati, di ogni ordine e grado, e la stessa adesione all’Unione Europea e alle relative pattuizioni, più o meno ampie o addirittura, come nel caso del Trattato di Lisbona, pseudo costituzionali.
Il motivo dovrebbe essere evidente: essendo stipulati da specifici governi, tali accordi non possono stabilire degli obblighi “eterni”, tali da vincolare per sempre l’azione dei governi successivi. A parità di organo, e di attribuzioni, si avrebbe un’asimmetria ingiustificata e inaccettabile tra la compagine del passato e quella del presente. Con la prima che si sovrappone alla seconda e ne travalica i poteri.
Giuridicamente è un’assurdità. Politicamente è un obbrobrio.
Ciò che in modo sprezzante viene definito “sovranismo” è in realtà la rivendicazione, più che mai legittima e addirittura connaturata a un popolo libero, dell’autonomia nazionale. Ovvero, appunto, della propria sovranità.
Quella sovranità che è il presupposto, e l’irrinunciabile cardine, di qualsiasi accordo internazionale stipulato per un’autentica scelta, anziché sotto il ricatto delle rappresaglie economiche e dell’ostracismo a tutto campo.