Milano stile banlieue: zone franche a legalità limitata

Di: Gerardo Valentini

Le rivolte sono un dato di fatto. Il “diritto di rivolta” no. Per niente. 

È questa la discriminante da recuperare, e da tenere ben ferma, rispetto a ciò che è accaduto a Milano in questi ultimi giorni. La dinamica esatta della morte di Ramy Elgaml è tuttora in via di accertamento, ma per i famigliari e gli amici del giovane egiziano rimasto ucciso la “verità” era già stabilita a priori: l’incidente l’avevano causato i carabinieri che inseguivano lo scooter dei fuggitivi e che, pur di bloccarlo, lo avevano speronato.

Il resto veniva di conseguenza. Giustificata la rabbia, giustificata la loro reazione violenta.  

A prima vista può sembrare che la questione cruciale stia appunto nella premessa: nello stabilire se le motivazioni degli immigrati nordafricani che hanno dato luogo ai tafferugli fossero o non fossero fondate. 

Non è così. La chiave di volta è altrove. È nella loro convinzione di poter ricorrere a quei sistemi per “manifestare” la propria rabbia. E affermare così le proprie presunte, presuntissime, ragioni. 

Intervistato da un cronista di Repubblica, il giovane Nadir, egiziano di 23 anni, inizia tergiversando ma non tarda ad ammetterlo: «Incendiare, bruciare, fare le rivolte non risolvi niente, sono d’accordo con te. Per oggi che mi sono svegliato e vedo che ci state dando voce, allora in questa zona di merda e a noi che ci hanno dimenticati qui, allora dico che sarà il modo giusto per farci sentire. Non lo condivido, ma stando coi piedi per terra mi viene da dirlo».

Appunto. Non si dovrebbe fare ma lo facciamo lo stesso. Perché in fondo, al di là di ciò che prevede la legge, per noi immigrati valgono dei principi diversi. Più permissivi e indulgenti. 

Un po’ cittadini e un po’ no

È la logica delle banlieue. Corpi separati che rimangono tali, al di là delle chiacchiere sull’integrazione. Collettività che vivono stabilmente qui in Europa ma senza amalgamarsi del tutto. Anche quando non si tratta di nuovi arrivati ma di discendenti di seconda o addirittura di terza generazione.

Moltitudini che continuano a ritenersi vittime di una discriminazione originaria e pressoché insanabile. Di un’ingiustizia che si perpetua e che non ha ancora avuto un risarcimento adeguato. E che forse non lo avrà mai.

Zone franche in cui la diversità tende a fare rima con illegalità. I legami di appartenenza si traducono in gruppi di giovani che si muovono come bande, sul confine sottilissimo e intermittente tra l’aggressione minacciata e quella messa in pratica. Lo spaccio di droga come attività abituale. Un’opportunità che non si esaurisce mai e che si può afferrare facilmente. 

La logica delle banlieue. 

Che per noi italiani non poteva e non doveva essere una sorpresa, visto che avevamo a disposizione gli esempi stranieri. A cominciare da quelli francesi.

La Fiera, permanente, dei buoni propositi

Secondo il questore di Milano no, invece. Lui preferisce rifugiarsi nelle distinzioni terminologiche, nel presupposto che si debba parlare di banlieue solo nei casi estremi: «Se intendiamo dei quartieri in cui è inibito l’accesso alle forze di polizia, come avviene in altre realtà europee, a mio modo di vedere a Milano questa realtà non esiste. Esistono dei quartieri più disagiati dove ci sono fenomeni più accentuati di microcriminalità».

Il sindaco Beppe Sala lo segue a ruota. Nega che ci sia un “effetto banlieue” e si aggrappa, come al solito, al catechismo progressista: «Capisco che alla destra piaccia fomentare queste situazioni ma sono qui oggi per continuare a dire che Milano resterà una città accogliente». Quanto al Corvetto, la zona della periferia sud-orientale dove si sono scatenati i disordini, «che sia delicato ne siamo consapevoli ma ci stiamo lavorando attraverso tante associazioni. È un quartiere più difficile di altri ma tutte le situazioni vanno affrontate».

Un classico. Che serve da alibi onnipresente e da autoassoluzione perenne. 

Ciò che non è stato raggiunto non dipende mica da una formulazione errata del problema, ma solo dal fattore tempo. O da altre circostanze che ostacolano la piena riuscita dei progetti elaborati a tavolino e che, ahinoi, sono inevitabili. 

A contare non sono gli esiti, ma le pie intenzioni. E le pie intenzioni rimangono tali a oltranza: senza nessun obbligo di tirare le somme e di farsene carico.

Sempre sia benedetta, Nostra Signora delle dilazioni.

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