Di Gerardo Valentini
Cambiano i dettagli, ma lo schema resta quello: screditare a priori i leader della coalizione di centrodestra. Usando come sommo esorcismo la politica estera. Vedi, in ultimo, la sortita di ieri con cui Enrico Letta ha bacchettato Giorgia Meloni: «Sta cercando di cambiare immagine, di incipriarsi, ma mi sembra una posizione molto delicata, se i punti di riferimento sono Orban».
Come al solito, i toni sono sprezzanti. Liquidatori. Calati dall’alto. Il sottinteso è che il centrosinistra è “serio e affidabile, democratico & progressista”, mentre chi si colloca sul versante opposto è “ignorante e pericoloso, autoritario e retrivo”. PD e soci sono gli alfieri del Luminoso Futuro che ci attende. Le destre, al contrario, sarebbero i caporioni di un oscuro passato che esse, sull’onda di Putin e delle cosiddette democrature, vorrebbero restaurare.
Eppure, per quanto fastidiosi, i toni sono relativamente secondari. C’è ben di peggio. C’è il tentativo, di portata generale e ripetuto a oltranza, di inchiodare la politica italiana a qualcosa di già deciso e di intrinsecamente indiscutibile. Qualcosa che viene stabilito su scala internazionale, sull’asse che lega la UE agli USA, e che viene presentato come un concentrato di sagacia economica e di sensibilità umanitaria.
Le nostre vicende interne, in quest’ottica, dovrebbero sottostare sempre e comunque al giudizio di entità straniere. Entità che vengono innalzate al ruolo di giudici supremi e inappellabili, così da limitare al massimo le opportunità di derogare, qui in Italia, alle tendenze oggi dominanti in Occidente.
Limitare al massimo: ossia, escludere del tutto.
Rinchiusi dentro un circolo vizioso
L’ostracismo, oggi, si abbatte innanzitutto su Giorgia Meloni e su Matteo Salvini. Berlusconi, ormai lontano dall’essere il mattatore di un tempo, ne è toccato in misura minore: più che attaccarlo direttamente, lo si associa di riflesso alla stroncatura destinata agli altri due.
La chiave di volta, tanto per cambiare, è una manipolazione ad ampio raggio. Che si snoda tra messaggi impliciti e accuse esplicite.
I messaggi impliciti mirano a fissare delle premesse che diventino salde come dei dogmi: alla Commissione europea (e alla Casa Bianca) sono più competenti di noi e la cosa migliore che possiamo fare è seguirne scrupolosamente i dettami.
Le accuse esplicite soffiano sul fuoco della preoccupazione per le conseguenze pratiche che ci troveremmo a subire, laddove non ci adeguassimo in tutto e per tutto: lo spread che si impenna, il Pil che si accartoccia, i finanziamenti del Pnrr che svaniscono, o che diventano proibitivi, e via paventando. Spaventando. Terrorizzando.
Dove sta il circolo vizioso?
Chiaro: è nel dare per scontato che le attuali linee guida del mondo occidentale siano giuste o addirittura sacrosante, per cui non sarebbero nemmeno ipotizzabili delle soluzioni alternative. Qualsiasi divergenza nazionale viene ostracizzata all’istante: poiché all’estero non sono d’accordo, e ci darebbero addosso se contravvenissimo alle loro indicazioni, l’unica conclusione possibile è che loro hanno ragione e non si può fare nient’altro che allinearsi. Di buon grado, per di più. Meglio ancora: con fervoroso e incrollabile entusiasmo.
Noi la vediamo diversamente. Una cosa è prendere atto che questi assetti esistono e che non si può evitare di farci i conti. Tutt’altro è innalzarli a fonte suprema del Bene economico e sociale.
Sui programmi di Fratelli d’Italia o della Lega è lecito essere d’accordo oppure no, con tutte le variazioni intermedie, ma non lo è affatto rigettarli a priori perché non sono graditi a Bruxelles o a Washington. Più precisamente: a chi oggi sta a Bruxelles o a Washington.
La politica non è un recinto di cui qualcun altro ha fissato per sempre i confini: è uno spazio mutevole che dipende dai valori ai quali ci si ispira. Popoli diversi possono avere valori diversi.
Anzi, dovrebbe essere la loro condizione naturale.