di Gerardo Valentini
Succede spesso, troppo spesso: i grandi temi del dibattito politico (quelli grandi davvero o quelli presunti tali, perché a ingigantirli è soprattutto la grancassa mediatica) finiscono per mettere in ombra, o addirittura nel dimenticatoio, gli interventi concreti. Ivi inclusi quelli più utili e destinati a risolvere, finalmente, problemi arcinoti. Arcinoti e arcigravi.
Prendete gli acquedotti, ad esempio. Che la rete nazionale sia in cattive o pessime condizioni lo si sa da moltissimo tempo: secondo l’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca ambientali, nel 2020 la dispersione idrica è stata nell’ordine di un miliardo di metri cubi d’acqua, pari a quasi il 40%del totale. A tutt’oggi, però, non si è mai arrivati ad affrontare la questione in maniera sistematica. E, appunto, risolutiva.
Benissimo, quindi, che il governo Meloni abbia messo a fuoco la questione e sia determinato a uscire da questa interminabile e colpevole inerzia. Che trova una delle sue cause principali nella tipica elefantiasi della burocrazia italiana: una selva di enti e di soggetti diversi che andrebbero coinvolti a vario titolo ma che poi, all’atto pratico, diventa pressoché impossibile coordinare in maniera efficace e puntuale.
La chiave di volta è intuitiva, ma visto che finora non si è mai tradotta in atti specifici e decisivi anche l’ovvio assume i tratti di una novità clamorosa. La chiave di volta, come ha ben evidenziato un articolo uscito giovedì scorso sul Messaggero, è istituire “la figura di un ‘super commissario’, col compito di sveltire le procedure e agire in modo rapido là dove serve, a cominciare dalla rete idrica”.
Nella stessa prospettiva, di sveltezza e incisività, si colloca l’intenzione di ricorrere al decreto legge. Per lo più abusato, rispetto all’articolo 77 della Costituzione che lo riserverebbe esclusivamente ai “casi straordinari di necessità e di urgenza”, stavolta questo strumento di per sé eccezionale appare quanto mai opportuno.
Se è vero, infatti, che non si tratta di un’emergenza nel senso stretto del termine, ossia di qualcosa che si è determinato all’improvviso, lo è altrettanto che la scarsità di pioggia degli ultimi mesi si è sommata agli altri fattori critici, accentuando le ripercussioni negative ed esigendo delle contromisure immediate. L’avvicinarsi delle stagioni più calde rende incombente uno stato generale di siccità, peraltro già in atto in numerosi territori e già foriero di cospicui danni alle colture agricole, e va davvero fatto tutto il possibile per mitigarne gli effetti.
Ci manca solo che dobbiamo sopportare pure il razionamento dell’acqua e i prezzi di frutta e verdura alle stelle, dopo quello che ci è toccato vivere dal 2020 in avanti. Prima il Covid-19, con il pesantissimo impatto sulle attività economiche e sulle libertà personali, e poi la guerra in Ucraina, con gli enormi rincari dell’energia e l’inflazione a due cifre. Nonché, in entrambi i casi, il disagio psicologico, ma per nulla astratto, di eventi così drammatici e prolungati nel tempo.
Mettere a posto gli acquedotti e tenerli in perfetta efficienza diventa quasi la metafora di un’amministrazione pubblica risanata: basta sprechi, basta lungaggini e inefficienze, basta dilapidare le straordinarie ricchezze della nostra Italia.
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