UE & Ucraina: le bugie a oltranza

Di: Gerardo Valentini

Come dicevano i latini? Perseverare diabolicum. Perseverare nell’errore. E figuriamoci nella menzogna.

Kaja Kallas, nelle sue vesti di “Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune”, l’ha appena fatto di nuovo. Ribadendo per l’ennesima volta sia la menzogna principale, su cui si imperniano tutte le altre, sia una delle tantissime che le ruotano intorno a seconda delle necessità del momento. E che con lo stesso slancio (la stessa spudoratezza) non esitano a negare l’evidenza.

Bugia numero uno: «Dobbiamo tenere presente che c’è un aggressore e una vittima». Sottinteso: la Russia è l’aggressore, l’Ucraina è la vittima. 

Bugia numero due: «L’idea che l’Ucraina stia perdendo terreno è falsa». Pertanto «Putin non può raggiungere i suoi obiettivi sul campo di battaglia, quindi cercherà di negoziare per ottenerli».

Smontare la bugia numero uno richiede un’analisi approfondita, che peraltro abbiamo già fatto in altre occasioni. Ad esempio nel maggio 2024 in un articolo intitolato “Alla fine Putin dovrà mollare. Ma è proprio vero?”.

Smentire la bugia numero due è molto più facile. E se la propaganda grossolana in stile Kallas non si ostinasse a sostenere il contrario sarebbe persino superfluo. 

Basta seguire lo sviluppo degli eventi bellici, identificando i dati obiettivi dietro le cortine fumogene dei media filo Zelensky, per cogliere la cruda verità: le forze armate di Kiev sono logorate e a corto di uomini e di armamenti, mentre quelle di Mosca continuano a essere di gran lunga più numerose e ben rifornite, per cui non smettono di avanzare, sia pure lentamente, e acquisiscono via via nuovi territori. Ovvero, un crescente vantaggio operativo. 

L’attivista e blogger militare ucraino Serhii Sternenko lo ammette in termini netti: “Mentre l’attenzione di tutti si concentra su Huliaipole e Pokrovsk, problemi sistemici stanno emergendo anche in altre direzioni. La crisi apparirà presto in tutta la sua importanza”.

Chi lucra in un modo, chi in un altro

Le enormi difficoltà dell’Ucraina, del resto, non si esauriscono affatto nelle vicende prettamente militari. La pura e indiscutibile realtà è che il Paese non è mai stato in grado di sostenere da solo i costi del conflitto e che tantomeno lo è adesso, dipendendo sempre di più dai finanziamenti altrui. E in primis, manco a dirlo, da quelli della stessa UE, sia come entità complessiva sia come Stati membri.

Il meccanismo che si è instaurato è un tipico circolo vizioso, che si autoalimenta e che trae interesse dal protrarsi della guerra. I fondi erogati allo Stato ucraino, infatti, vengono in gran parte riversati nel sistema produttivo occidentale attraverso la spesa per rimpolpare gli arsenali. 

Ma se sul piano economico i principali beneficiari sono ovviamente le industrie del settore (con una parte rilevantissima per quelle statunitensi) accanto a questo primo tornaconto c’è n’è un altro. Che è di natura politica e che mira a dare una rinnovata e persistente legittimazione alle classi dirigenti tanto dell’Europa quanto dell’Ucraina. 

Nel caso di Zelensky la necessità è addirittura pressante, visto che in ottobre la sua popolarità era ormai crollata al 25%, già prima del recentissimo scandalo sulla corruzione, e che lui, in carica dal 2019, si trova in regime di proroga per la mancanza di nuove elezioni. 

Quanto ai vertici europei, da quelli comunitari capitanati da Ursula von der Leyen ai singoli capi di Stato come Macron, la perdita di credibilità è sotto gli occhi di tutti. Privi di visione e di lungimiranza, nonché asserviti a interessi a dir poco ambigui e comunque a scapito della generalità dei cittadini, devono anch’essi aggrapparsi al ben noto trucchetto del nemico esterno. 

Un nemico talmente minaccioso, incombente e terribile, da mettere in secondo piano – e possibilmente nel dimenticatoio – qualsiasi altro motivo di discussione. Di divergenza. Di dissidio. Nel quadro di quella contrapposizione grave o persino insanabile che sta emergendo tra i tecnocrati di Bruxelles e i popoli che ne subiscono le conseguenze. 

Putin serve esattamente a questo. Putin l’Autocrate. Putin “l’orco”. 

Putin che non ha nessun motivo di sottoscrivere i 19 punti dello pseudo accordo USA-UE partorito a Ginevra e perciò, come negarlo, “non vuole la pace”.

Comandati da questi qua?!

Ciò che bisogna capire, e stamparsi nel cervello, è che non ci troviamo di fronte a una mistificazione a sé stante, benché di vaste proporzioni e dalle conseguenze pesantissime. 

Per ora le ripercussioni sono essenzialmente economiche, vedi l’impatto sui beni di consumo degli aumenti di prezzo dell’energia e non solo, ma in futuro potrebbero andare assai oltre. Estendendosi a scenari di guerra. Dalla mobilitazione militare dei civili, come attestano i progetti tedeschi di reintroduzione della leva obbligatoria, a un rafforzamento generale degli ospedali europei per accogliere i feriti di un eventuale (eventuale?) conflitto. 

Walter Ricciardi – di cui molti ricorderanno il ruolo nell’ambito dell’emergenza Covid-19, come consigliere scientifico del Ministro della Salute Roberto Speranza, dal 2020 a settembre 2022 – lo ha detto pari pari: «in Italia si dovrebbe innanzitutto maturare la consapevolezza che siamo in una situazione prebellica e la maggior parte degli italiani mi pare rimuova il concetto».

Prospettive di questo rilievo non possono essere lasciate nelle mani di chi è stato eletto per gestire l’ordinaria amministrazione. Ciò che in tempo di pace è solo deprecabile, e che tuttavia non dovrebbe mai essere considerato da noi cittadini una banale/fatale distorsione della vita politica, diventa del tutto inaccettabile quando si prefigurano scelte epocali e disastrose come un conflitto aperto con la Russia.

Il miscuglio di disinvoltura e di arroganza con cui i vari Macron e Starmer parlano di inviare truppe in Ucraina, rendendo ancora più palese il coinvolgimento diretto in quello scontro, dimostra come i rischi siano altissimi, quando la “normale” presunzione di questi personaggi fuoriesca dai soliti contesti e si proietti in ambiti inesplorati.

Dobbiamo dirlo con estrema chiarezza: non c’è nulla, in loro, che li accrediti come condottieri di tempra superiore. Sono il prodotto di quella competizione mediocre e costellata di ipocrisie che sono le elezioni. Sono attori che vanno bene sì e no per i modesti copioni del battibecco quotidiano tra conservatori e progressisti.

Okay: hanno fatto carriera. Ma tra carriera e cursus honorum c’è un abisso. E ognuno di noi dovrebbe tenerne conto quando votando superficialmente, o illudendosi che per affermare il proprio rifiuto sia sufficiente non votare affatto, consente a personaggi di seconda o terza fila di ascendere via via ai vertici delle nostre istituzioni. Nazionali o europee. 

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