Di Gerardo Valentini
Alè: la destra continua ad andare molto forte, raccogliendo cospicui consensi nelle urne di città e paeselli sparsi per l’Italia, ma a quanto pare non basta.
Mica si tratta della conferma di un predominio poderoso, già sancito dall’arrivo al governo della coalizione capeggiata da Giorgia Meloni. Oh, no: siccome il blocco FdI-Lega-Fi non stravince proprio dappertutto, schiantando ovunque il PD, allora è segno certo che il clima politico è già cambiato. O sta per cambiare. O cambierà in seguito, senza sottilizzare troppo sul quando.
Figuratevi se non lo sappiamo. Di fronte ai numeri delle elezioni, di ogni ordine e grado, le possibilità di strumentalizzazione sono pressoché infinite.
È andata bene? È il prologo dei trionfi futuri.
È andata male? Beh, poteva andare peggio.
È andata così così? Tranquilli: il partito rischiava di soccombere e invece ha “tenuto”.
Ne abbiamo visti talmente tanti, di dati smontati e rimontati alla bisogna e di commenti più o meno capziosi, che questo tipo di approccio lo conosciamo a menadito. Ma quello che si è letto ieri sui quotidiani smaccatamente pro Schlein, come Repubblica e Domani, mette a dura prova anche i più smaliziati.
È tutto un dire e un non dire. È l’apoteosi del proverbiale “qui lo dico e qui lo nego”. E se proprio non lo nego, quantomeno lo pospongo.
Un attimo prima si afferma con fare perentorio e un attimo dopo si stempera col beneficio del dubbio. Si volteggia sul filo degli auspici: che intanto mirano a ringalluzzire l’elettorato di riferimento, alquanto depresso dalla maxi batosta del 25 settembre, e pazienza se poi quelle piroette verranno smentite dai fatti. Persa una competizione, locale o nazionale, ce n’è sempre un’altra in arrivo. Le Europee 2024, per l’appunto.
Nel frattempo, fiato alle trombe.
Grande giornalismo, oh yes
Domani spaccia il mancato crollo del PD per un prodigio di resistenza. La trincea rischiava di essere travolta ma in qualche modo, benché traballante, è ancora lì. Grazie alla neo segretaria, si intende. Il titolone a prima pagina lo grida a pieni polmoni: “Schlein regge l’urto dell’onda nera. Nelle città l’effetto Meloni non c’è”.
Il ribaltamento perfetto. Dopo la vittoria a fine febbraio di Elly, la popstar dei gazebo, si inneggiava all’ormai inevitabile “effetto Schlein”. Siccome non c’è stato, o è stato assai inferiore alle aspettative dei fan, e dei trombettieri a libro paga, allora si rigira la frittata: a essere mancato è “l’effetto Meloni”.
Repubblica si destreggia (oops: si sinistreggia…) con due articoli in prima pagina che andrebbero conservati nella galleria degli orrori.
Il primo, che nel suo genere è insuperabile, lo firma Carmelo Lopapa ed è intitolato, nientepopodimenoché, “La lezione delle urne”. Il secondo, come si conviene a un editorialista di lunghissimo corso quale Stefano Folli, è un po’ più accorto, o meno spudorato, e si limita ad augurarsi che l’unica vittoria di spicco, quella di Laura Castelletti, si trasformi in un impulso di portata generale: “Brescia, una spinta psicologica”
Giusto un paio di esempi, dei rispettivi teoremi.
Lopapa: “La rimonta del centrosinistra nel deserto artico della destra al potere sarà lunga, lenta, è partita da lontanissimo, ma è partita”.
Folli: “i limiti di questo voto comunale sono quelli che tutti sono in grado di vedere. Ma Brescia indica che la grande partita nazionale si può riaprire: se non oggi, forse entro un paio d’anni”..
Analisi della realtà, benché in proiezione futura?
Ma no. Il libro dei sogni. Dove tutto è possibile, essendo fatto della stessa materia di cui sono fatti i desideri. O le allucinazioni.
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