di Gerardo Valentini
Sì, il colpevole è stato preso. Stavolta.
No, non si può tirare un sospiro di sollievo e ritenere chiusa la questione. Quello che si chiude è solo un episodio. Particolarmente grave, ma tutt’altro che isolato.
Anzi, c’è quasi da sorprendersi che questa esplosione di violenza insensata e potenzialmente omicida sia arrivata soltanto adesso, visto ciò che è diventata, e ormai da parecchio tempo, la zona della Stazione Termini. Un orrido “brodo di coltura” della devianza. Infestato di senzatetto ostili e aggressivi: non solo dei poveracci che tirano a campare, restando ai margini della società e confidando nella carità dei passanti o delle associazioni di volontariato, ma degli individui incattiviti e in cerca di rivalsa. Quasi che volessero vendicarsi di chi invece fa una vita normale, imperniata sul lavoro e sulla legalità.
Una realtà spaventosa che sarebbe inaccettabile ovunque, ivi inclusa l’estrema periferia, ma che appare ancora più assurda in un luogo che si trova al centro di Roma e che costituisce una meta obbligata per i tantissimi utenti che hanno bisogno di spostarsi col treno, dai pendolari che lo fanno ogni giorno ai viaggiatori occasionali, per turismo o per affari. Un flusso, enorme e incessante, che è stimato “in circa 480.000 frequentatori al giorno per un totale di oltre 150 milioni ogni anno”.
A proposito: Roma si ripromette di ottenere l’assegnazione dell’Expo 2030. Una rassegna che attirerebbe ancora più visitatori e che, ovviamente, presuppone la garanzia di standard adeguati per ogni aspetto dell’accoglienza urbana. A cominciare dal più elementare di tutti: la sicurezza personale.
L’ennesimo disastro del “buonismo” di sinistra
Non ci voleva un genio, per capirlo: permettere a migliaia di stranieri “senza arte né parte” di arrivare in Italia, e di fermarcisi a loro piacimento, comportava che poi te ne se saresti dovuto occupare. Provvedendo come Stato alle loro necessità, di sostentamento e di sistemazione.
La strada che si è scelta, al contrario, è stata la solita. Proclami altisonanti che hanno spalancato le porte del nostro Paese a ogni sorta di migranti, infischiandosene degli effetti che ne sarebbero derivati. Lasciando che le conseguenze ricadessero sulla generalità dei cittadini: ormai sono qui, quegli sventurati, e bisogna tenerseli, limitandosi a sperare che il loro malessere quotidiano non degeneri in qualcosa di peggio. Portandoli dall’estraneità, tipica di chi non si è inserito proficuamente nella società in cui vive, all’ostilità verso chiunque non sia come loro.
Certo: il responsabile del ferimento della turista israeliana è un polacco e quindi, tecnicamente, non rientra fra i migranti. Grazie alle disposizioni di favore vigenti nello spazio Schengen aveva la possibilità di venire in Italia liberamente. Come ha fatto.
Ma il ragionamento è complessivo. E verte sul problema del numero, crescente, di coloro i quali non solo non si sono integrati finora, ma non mostrano nemmeno alcuna intenzione di volerlo fare in futuro.
Trovare il modo di gestirli, e di neutralizzarli, non può rientrare fra gli obiettivi auspicabili ma, ahimè, più o meno irrealizzabili. Soprattutto dove essi si radunino in maggior numero, sino a diventare una presenza tanto abituale quanto nociva, si deve assolutamente intervenire con misure risolutive. Nella consapevolezza che la priorità consiste nel ripristinare delle condizioni di piena vivibilità. E se questo significa adottare dei provvedimenti coattivi, nei confronti di chi non è capace di comportarsi correttamente, tanto peggio per chi si è messo in condizione di subirli.
Pensare di risolvere la situazione aumentando un po’ la presenza delle forze dell’ordine è una mera illusione. Sempre che non si tratti, invece, di una finzione ipocrita da sbandierare come alibi: abbiamo fatto il possibile, ma purtroppo non è bastato.
Prima il buonismo che genera le cause, poi il lassismo che non governa gli effetti.
Entrambi, come al solito, sulla pelle dei cittadini.
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