Dodici anni di commissariamento: ma sono finiti nel 2020.
Due anni, abbondanti, dell’emergenza Covid: ma sono ormai alle spalle e c’è solo da sperare che non tornino più, in nessuna variante.
È un passato difficile e pieno di criticità, quello della Sanità nella nostra regione. Difficoltà e zavorre che non si possono certo disconoscere, ma che non devono nemmeno diventare degli alibi per quello che ancora non va. E che è molto. Sia sul versante dell’utenza, a cominciare dai tempi di prenotazione degli esami e delle visite, sia su quello della gestione prettamente economica, su cui la Corte dei Conti non ha mancato di esprimere/ribadire le proprie perplessità anche nella sua ultima analisi del bilancio regionale.
Come titolava l’edizione romana del Corriere della Sera, non più tardi dell’11 novembre scorso, la magistratura contabile “bacchetta la Regione: bilanci confusi Riserve sulla gestione della sanità (il 75%della spesa totale)”.
Uno dei nodi fondamentali è il ruolo di LazioCrea, una S.p.A. che è di esclusiva proprietà della stessa Regione Lazio e che è stata istituita ai sensi dell’art. 5 della L.R. n. 12 del 24 novembre 2014. L’intento, riportato nel sito ufficiale, è affiancare l’ente pubblico “nelle attività tecnico-amministrative, offrendo servizi di gestione ed organizzazione delle attività di interesse regionale”.
La realtà, in effetti, è meno cristallina. Il procuratore regionale della Corte dei Conti, Pio Silvestri, si esprime nella maniera formale e quasi asettica che gli compete (“pare necessario un supplemento di riflessione su detta struttura organizzativa che pone problemi di chiarezza della gestione contabile”) ma la traduzione è facile: ci sono delle ombre, più o meno consistenti, e andrebbero dissipate. Approfondendo l’effettiva natura dei rapporti tra i due soggetti.
E chiarendo innanzitutto, aggiungiamo noi, se e quanto fosse indispensabile creare una società esterna alla quale appoggiarsi per delle normali attività amministrative. Una società che tra l’altro, citando i dati ufficiali, corrisponde al suo presidente e amministratore delegato, Luigi Pomponio, un compenso di 130 mila euro annui.
Dal disastro alla normalità. Dalla normalità all’eccellenza
La prossima legislatura, per il Lazio, dovrà essere quella della svolta definitiva. Dai miglioramenti parziali, imperniati sul raffronto con le terribili inefficienze del passato, a degli standard di funzionamento che siano pienamente all’altezza delle necessità dei cittadini. Pienamente e costantemente.
La chiave di volta, infatti, è che di regola dietro ogni richiesta di assistenza sanitaria c’è un bisogno reale e concreto. Che in molti casi è pressante e che perciò non si può rinviare alla stregua di un optional.
La tempistica, come abbiamo già accennato, è un aspetto cruciale. E non a caso la normativa vigente fissa dei termini precisi: 72 ore per le prestazioni urgenti e 10 giorni per quelle a breve termine, che salgono rispettivamente a 30 e a 60 per le visite e per gli esami strumentali che si possano differire senza rischi per il paziente.
Qui nel Lazio, purtroppo, la situazione è ben diversa. “Attese infinite… tranne nel privato”, per dirla con il titoletto interno di un ampio articolo pubblicato poco più di un mese fa da Romatoday.it e dedicato alla figura di quell’Alessio D’Amato che è l’assessore uscente alla Sanità e che sarà il candidato presidente del PD nelle prossime elezioni.
Sintesi tranchant, ma attendibile. E che ci porta dritti alla questione delle strutture disponibili e del personale che ci lavora.
Qualsiasi pianificazione seria deve partire dalle esigenze effettive degli utenti. Ed è su queste basi che si deve costruire la dotazione necessaria per soddisfarle.
Per quanto riguarda gli organici, in particolare, ciò significa che per le attività prettamente sanitarie il ricorso a soggetti esterni deve essere limitato a circostanze eccezionali. Il primo motivo è ovvio: è l’interesse delle persone da curare, alle quali si deve garantire che i medici e gli infermieri che li assisteranno siano stati accuratamente selezionati. Il secondo potrebbe non esserlo: è la tutela dei lavoratori più o meno occasionali, e più o meno precari, reclutati dalle imprese che si aggiudicano un appalto o un contratto di altro tipo.
Una sorta di prevenzione, per restare in tema. Si ha cura di sé per poter essere all’altezza dei propri compiti. Una sanità pubblica in buona salute, a disposizione dei cittadini che hanno bisogno di essere curati.
Tag: Regionali, Salute, Lavoro
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