di Gerardo Valentini
Il “casermone”.
Lo chiamano così, il complesso di case popolari da cui potrebbero essere venuti gli assassini di Thomas Bricca, il 18 enne ucciso da un colpo di pistola che lo ha preso alla testa e che è stato esploso da due sconosciuti a bordo di uno scooter. Gli assassini, oppure i loro mandanti.
Ma queste sono le domande a cui dovranno dare risposta le indagini degli inquirenti. Obiettivi essenziali dal punto di vista giudiziario. Non altrettanto da quello sociale e quindi politico.
Per sua natura, infatti, il sistema penale ha l’obiettivo di accertare le responsabilità personali e di sanzionare gli specifici colpevoli di uno specifico reato. Trovati loro, condannati loro, l’iter si conclude. E quand’anche vi fossero degli sviluppi di carattere investigativo, allo scopo di identificare e punire i responsabili di altre attività delittuose più o meno connesse, la chiave di volta rimarrebbe quella della repressione.
I poliziotti sono poliziotti e i giudici sono giudici. Si occupano dei crimini, assai più che delle loro cause. La loro funzione è perseguire i delinquenti: non rimuovere le cause che hanno determinato, o quantomeno favorito, l’insorgere del loro atteggiamento criminale.
Il succitato “casermone” rimane – diciamo così – sullo sfondo. Quello della tragica vicenda di Alatri. O qualsiasi altro insediamento analogo, qualunque analogo obbrobrio, allestito in Italia. Come lo furono le famigerate Vele di Scampia, prima della loro demolizione. Come lo sono tuttora gli edifici noti e meno noti sparsi qua e là nel nostro Paese. I palazzi dello Zen di Palermo, per esempio. Oppure, qui a Roma, il “serpentone” di Corviale o i “ponti” del Laurentino 38.
Se nelle case si vive male…
Ammettiamo che siano stati errori in buonafede, almeno da parte di chi li ha teorizzati (nientemeno che Le Corbusier, tra gli altri). Ma sono stati errori concettuali da cui sono scaturiti degli orrori concreti. Che in moltissimi casi sono ancora lì e che continuano a generare i loro effetti negativi. O addirittura perversi.
Frutti avvelenati di un’allucinazione culturale, prima ancora che architettonica. Il convincimento, cerebrale e dogmatico, per cui la funzionalità è tutto e l’estetica si riduce a un orpello. Il cemento a vista diventa un’orgogliosa affermazione tecnologica e lo sfruttamento forsennato degli spazi una prova, suprema, di razionalità costruttiva: di cui gli abitanti dovrebbero essere grati, soddisfatti, felici.
Il teorema era sballato. Le inadempienze e l’incuria delle pubbliche istituzioni hanno fatto il resto. Sia non completando le opere urbanistiche previste a supporto (dagli spazi verdi ai parchi giochi per i bambini, dagli impianti sportivi innanzitutto per i giovani a ogni altro incentivo a condividere una socialità vitale e quindi sana), sia non assicurando neanche la normale manutenzione.
Inoltre, come se non bastassero queste premesse sciagurate, la sciatteria amministrativa degli enti di gestione ha innescato fenomeni via via più gravi. E sempre più difficili da sradicare. Dalle iniziali irregolarità, quali l’omesso pagamento dei canoni di locazione, peraltro infimi, si è arrivati alle occupazioni senza titolo, ivi inclusi gli immigrati che non dovevano nemmeno arrivare, e al progressivo dilagare di situazioni di vera e propria illegalità. Con le organizzazione criminali che decidono loro a chi assegnare gli appartamenti disponibili e la trasformazione di queste deliranti “isole residenziali” in piazze di spaccio aperte h.24.
Ed è proprio qui che si chiude il cerchio.
È qui che il piano giudiziario si salda a quello sociale e politico.
Ciò che bisogna capire, e assorbire nei programmi di governo tanto nazionali quanto locali, è che le condizioni di vita dei cittadini incidono, eccome, sul modo in cui essi si comportano. Se è vero che la condotta criminosa è il punto di non ritorno che riguarda solo alcuni – i quali, giustamente, ne sono responsabili e ne dovranno rispondere – lo è pure che i percorsi quotidiani che la precedono non possono essere ignorati. Limitandosi a sperare che quel malessere diffuso esploda solo occasionalmente.
La frustrazione intossica chiunque. La mancanza di bellezza e di armonia avvelena anche laddove non sia percepita in modo consapevole.
Un omicidio come quello di Thomas Bricca è il caso estremo che balza all’occhio. Ma una politica degna di tal nome deve essere capace di vedere ciò che non è ancora arrivato allo stesso livello di tragedia manifesta e innegabile.
Vederlo. E occuparsene.
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