Di Gerardo Valentini
L’ultimo esempio è tuttora in corso: è quello del conflitto tra Hamas e Israele. La cui cronologia, dalle terrificanti stragi del 7 ottobre in poi, è arcinota e non ha bisogno di alcun riepilogo.
Quello che ne avrebbe un gran bisogno, al contrario, è come si sia arrivati a questa ennesima esplosione di violenza. Sanguinaria e spietata, da una parte e dall’altra. Totalmente priva di scrupoli, da una parte e dell’altra. Scagliata da entrambe le fazioni in lotta anche, o soprattutto, contro la popolazione civile. Per opposti e speculari motivi una classica guerra di eserciti non è possibile. E allora si spara nel mucchio. Si spara, si bombarda, si uccide. Sino al massacro indiscriminato.
Ma questa è la vicenda specifica. Di cui non vogliamo occuparci a fondo. O quantomeno non vogliamo farlo oggi.
Ciò che ci interessa assai di più è la pretesa, ormai abituale, di chi vorrebbe ridurre tutto a una contrapposizione sommaria e definitiva. Di qua tutto il Bene, l’Occidente atlantista e filoamericano. Di là tutto il male, chiunque osi contrapporsi all’ordine mondiale a guida statunitense.
Non un semplice giudizio. Un anatema.
Un ostracismo automatico e generalizzato che ha lo scopo di impedire a priori qualunque riflessione sulle cause profonde di ciò che accade. Demonizzando chiunque vi si azzardi. Liquidandolo all’istante come una sorta di collaborazionista con i terroristi di turno. O con noi, o contro di noi. O con i buoni – i democratici, i liberali, gli alfieri dei “diritti universali” (e dei mercati globali) – oppure con i cattivi – gli oscurantisti, le autocrazie, gli Stati canaglia.
È uno schema che negli ultimi due decenni abbiamo visto replicare a più riprese, ma che in realtà ha radici più lontane. E che si impernia sulla necessità di un Super Nemico da fronteggiare. Una Enorme Minaccia così terribile e incombente da spazzare via ogni altro distinguo.
Il comunismo, all’epoca della Guerra fredda. La jihad islamica, specialmente dopo gli attentati alle Torri Gemelle di New York. La Russia di Putin, più che mai da quando ha invaso l’Ucraina.
Come si dice, “i Turchi alle porte di Vienna”.
Serrare le file e combattere. Combattere e ubbidire. Ubbidire e non discutere.
La logica, perversa, degli aut-aut
È l’abc della manipolazione: si condiziona la risposta attraverso il modo in cui si formula la domanda.
Apparentemente è un rapporto paritario. C’è uno che chiede e c’è un altro (molti altri, in realtà) che è libero di replicare come preferisce. Ma che in effetti non potrà farlo se non rimanendo nei limiti che sono stati fissati, implicitamente, da chi ha posto l’interrogativo.
Chiaro: se l’alternativa è tra il libero mercato e il comunismo sovietico, tanto più se in versione Stalin, saranno ben pochi a optare per il secondo. Ma se invece usciamo da un’antitesi tanto rozza e ci addentriamo in un ragionamento più articolato, lo spazio per delle posizioni diverse si allarga a dismisura.
Già. Il “libero mercato” è un principio di carattere generale. Ed essere d’accordo con quel principio non equivale ad avallare tutte le possibili configurazioni che esso assume, sia sul piano teorico, sia su quello pratico.
A parità di libera iniziativa, un conto sono le imprese saldamente legate al territorio e un altro le multinazionali che del territorio, e di chi ci abita, se ne strainfischiano. In campo finanziario, e borsistico, una cosa è la normale compravendita di azioni e obbligazioni, tutt’altro sono le strategie puramente speculative a colpi di operazioni forsennate e di strumenti cervellotici, e pericolosissimi, come i derivati e l’High Frequency Trading imperniato sulla rapidità fulminea, e il cinismo disumano, degli algoritmi computerizzati.
Nessuna esclusiva, sull’idea di Occidente
Cambia tutto, vero?
Modificando le domande, ovverosia riformulando i problemi, si aprono degli spazi immensi a una critica ad ampio o amplissimo raggio.
Vale in campo economico. Vale in ogni altro ambito della politica, della società, della comunicazione di massa. Vale per la democrazia di facciata che serve a nascondere il dominio delle oligarchie. Vale per le fisime del politicamente corretto, che in nome di uno pseudo rispetto delle minoranze conducono ai deliri della Teoria gender e della Cancel Culture.
L’Occidente non è un monolite. Men che meno è un pacchetto, un kit, da comprare in blocco, per poi attenersi scrupolosamente alle istruzioni per l’uso. Stabilite, si intende, da chi ha progettato il prodotto e ce lo vuole affibbiare.
“O con noi o contro di noi” non è affatto una sacrosanta e doverosa chiamata alle armi. È un trucco. Che si spaccia per un imperativo non soltanto politico ma addirittura etico.
Dietro l’imperativo, però, sta operando un Impero.
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