Berlusconi morto. La festa grande, e indegna, di chi lo ha sempre odiato

Di Gerardo Valentini

“Santo (puttaniere) subito: piange tutta la corte di azzurri e olgettine.” 

“La repubblica del Banana.”

“Quel disgusto delle regole spacciato per libertà.”

“Berlusconi resta impresentabile.”

I primi due titoli sono usciti sul Fatto Quotidiano, che come tutti sanno è una creatura di Marco Travaglio. Gli altri due su Domani, che come non tutti sanno è una creaturina di Carlo De Benedetti, ex proprietario di Repubblica.

Sono solo una piccola selezione, di quello che si è letto sui giornali dopo la morte di Berlusconi. I giornali di un certo tipo: quelli per cui Berlusconi, più di chiunque altro, è il Male Supremo. Arrivato dritto dritto dall’inferno per contaminare, infestandola al sommo grado, quella società progressista che i radical chic adorano e che ci ha portato via via al politicamente corretto, alla cancel culture e alla teoria gender. 

Il filo conduttore lo avete visto: un disprezzo che rasenta l’insulto o che addirittura lo raggiunge. E se ne compiace. Un disprezzo che è talmente ansioso di manifestarsi, di traboccare sulle pagine o davanti alle telecamere, da diventare incontenibile. Al pari di innumerevoli occasioni del passato. Anche di fronte alla morte. 

Per loro, d’altronde, questa era la loro ultima occasione di farlo, così in grande, e puntualmente ci si sono avventati. Al meglio (al peggio) delle loro possibilità: sputando tutto il veleno che si portano dentro e che gli si rigenera di continuo, pronto a essere lanciato, o vomitato, contro quelli che odiano. Berlusconi in primis. 

Un’avversione ipocrita e senza fine

Lo hanno odiato per circa trent’anni, a partire dal 1994. Quando irruppe nella scena politica italiana con la neonata Forza Italia e sconfisse, a sorpresa, la “gioiosa macchina da guerra” del PDS-ex-PCI, versione Achille Occhetto.

Non gli è andata giù allora, convinti com’erano che ormai la loro vittoria fosse cosa fatta, dopo che gli scandali di Tangentopoli avevano sgretolato sia la vecchia DC sia il turbo PSI guidato da Craxi.

Gli è rimasta sul gozzo anche in seguito. Praticamente per sempre. Perché non sono mai riusciti a vederlo battuto, anzi umiliato, anzi distrutto, in via definitiva. Benché a volte perdesse nelle urne, e nonostante fosse tenuto pressoché incessantemente sotto la pressione delle inchieste giudiziarie, lui restava comunque in piedi. Impaziente di rimettersi al lavoro, fiducioso nelle proprie capacità e nelle proprie intuizioni, straconvinto che moltissimi italiani si riconoscessero nelle sue qualità. 

Come anche, perché no, nei suoi difetti. O nei suoi eccessi. Che erano quelli dell’imprenditore di straordinario successo e che mal si conciliavano con la sobrietà di una figura istituzionale, tanto più se di vertice. E sorvoliamo, per ora, su quanto tale sobrietà, spesso, sia effettiva o soltanto simulata

Beninteso: quel legame appassionato non comporta di per sé che Berlusconi avesse ragione in tutto ciò che sosteneva o che decideva. L’ascendente sulle masse è un fenomeno psichico che si basa sulle correnti emotive e che perciò, essendo intriso di irrazionalità, è costellato di controindicazioni. La stessa identica cosa, però, vale per qualsiasi leader che sia in grado di attivarlo.

Barack Obama, ad esempio. Il cocco dei progressisti statunitensi e anche nostrani che arrivò alla Casa Bianca, nel 2008, sull’onda del celeberrimo “Yes We Can”. Un’affermazione geniale e ingannevole in cui c’è soltanto il verbo e manca il complemento oggetto. Noi possiamo. Ma possiamo cosa? Chissà. L’importante è che voi ci crediate. Che voi abbocchiate.

La spettacolarizzazione della politica, con le suggestioni che travalicano le analisi e i programmi di governo, non è affatto un’esclusiva di Berlusconi. E men che meno una sua invenzione. 

Al contrario, è una tecnica che esiste da molto, moltissimo tempo, e i professionisti dei media e della politica lo sanno benissimo. Anche quando si atteggiano ad anime candide, scandalizzate dalla spregiudicatezza altrui, e fanno finta di no.

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