Di Gerardo Valentini
Vietato sorprendersi: ne sono successe già troppe. Legittimo schifarsi: ne sono successe già troppe.
La contraddizione è solo apparente. E la si spiega in fretta. Ciò che bisogna capire, infatti, è che anche in questo caso il cattivo esempio… è esemplare.
Le responsabilità degli accusati di turno rimangono individuali, specialmente nell’ambito del diritto penale o in quello della (cosiddetta) giustizia sportiva, ma allo stesso tempo riflettono un degrado generale. All’interno del calcio. E anche al di fuori.
Francesco Baranca è il segretario di Federbet, organizzazione internazionale che promuove le scommesse legali nel mondo dello sport. Di fronte a ciò che sta emergendo in questi giorni non si tira indietro. E ne parla come di un segreto di Pulcinella: «il 90% dei calciatori scommette, e la cosa non mi sorprende affatto, ho parlato con tantissimi di loro. Hanno molto tempo libero, amano l’adrenalina, hanno spirito di competitività e hanno tanti soldi. E questo li rende molto inclini al gioco d’azzardo, è un problema enorme. Non parliamo di partite truccate, ma di scommesse».
Perché si fa finta di non saperlo, allora?
Perché a dominare è l’ipocrisia. Le norme proclamano i loro bravi divieti e così facendo creano un paravento istituzionale di apparente correttezza: lo vedete, no? Abbiamo stabilito, che la tale cosa è vietata e che i trasgressori saranno puniti…
La prassi reale va in direzione opposta. I vizi personali sono arcinoti e ampiamente tollerati, ma a patto che rimangano nell’ombra.
Poi, mannaggia, arriva l’imprevisto. Qualcosa che scompiglia la messinscena complessiva, la finzione-che-funziona, e costringe a scuotersi dal torpore. E dalla connivenza.
Salta fuori il più improbabile dei “pubblici giustizieri”, nei panni del pluricondannato Fabrizio Corona, e bisogna cambiare canovaccio. Ergersi di nuovo a moralizzatori. Puntare il dito sui reprobi. Promettere vigilanza rinnovata e pulizia definitiva.
Tutto il necessario, affinché si possa liquidare pure questo come l’ennesimo, malaugurato, accidentale, incidente di percorso.
“The show”. Ovvero, “il baraccone”
Un po’ per volta ci siamo abituati. Un po’ per volta ci hanno fatto abituare.
Dai e dai ci siamo dimenticati che all’origine non era così. E che le modificazioni sopravvenute via via, nello sport e in ciò che gli ruota intorno, non si limitano affatto alla normale evoluzione tra un prima e un dopo, per cui cambiano determinati aspetti ma si mantiene una sostanziale omogeneità di valori e di obiettivi.
Niente affatto.
Lo sport è diventato spettacolo. Lo spettacolo è diventato business. E in quanto business, imperniato sui profitti, ha imposto le sue priorità commerciali a scapito di ogni altro elemento. Riducendo il rispetto delle regole più a un’esibizione di correttezza che a un imperativo etico.
Da un lato la spregiudicatezza è dilagata ovunque, dalla gestione amministrativa dei club e delle federazioni alla condotta degli atleti e dei loro agenti. Dall’altro enfatizzare alcuni divieti, a cominciare dal doping, è servito a controbilanciare i tanti altri fattori di snaturamento e di mercificazione.
Analogamente, l’informazione giornalistica, soprattutto in tv, si è trasformata in intrattenimento. Quello che in inglese si chiama “infotainment”. Che è appunto la fusione tra “information”e “entertainment”.
La differenza, come sempre, la fa il senso della misura. O viceversa della dismisura. Che degenera in abuso. E quindi in degrado. Un conto è che lo sport possa diventare anche uno spettacolo. E che il giornalismo possa adottare delle modalità non troppo seriose.
Ben altra cosa è che la spettacolarizzazione prevalga sul resto. Fino a inquinarlo in profondità. Fino a travolgerlo.
Intorno a un personaggio come Fabrizio Corona sarebbe doveroso fare terra bruciata. Se ha qualcosa da riferire alle Procure lo faccia, altrimenti si tenga per sé le proprie indiscrezioni. Racimolate chissà come. Chissà da chi. E per quali finalità, al di là di quelle più ovvie.
Dargli spazio, come purtroppo si è deciso di fare anche in RAI, e per di più con una serie di cachet da migliaia di euro, equivale a dargli ragione. Avallando in pieno la sua logica da razziatore del gossip.
Un approccio di cui lui si vanta. Manco a dirlo.
«In una settimana – ha gongolato nell’intervista pubblicata domenica sul Corriere della Sera – siamo diventati punto di riferimento per tutta l’informazione. Oggi in Italia ci sono solo due cose: Hamas e questa… e questa l’ha fatta la banda Dillinger… siamo dei fuorilegge dell’informazione che rischiano la vita.»
Quelli che si affollano sul suo sito, Dillingernews.it, dovrebbero capirlo: ciò che li muove non è la sana ricerca di notizie, ma la bulimia di pettegolezzi.
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